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Storia della Fotografia. La collezione di Domenico Nardozza: preservare per ricordare. | Club Fotografia

Storia della Fotografia. La collezione di Domenico Nardozza: preservare per ricordare.

Non è la mera fotografia che mi interessa. Quel che voglio è catturare quel minuto, parte della realtà” (Henri Cartier-Bresson)

Introduzione di Antonio Lo Torto

Con questa frase del grande Cartier-Bresson il nostro amico Domenico Nardozza esordisce presentandoci la sua raccolta di piccoli tesori. Leggendo le sue parole s’intuisce chiaramente l’amore che lo lega alla sua collezione e… come dargli torto?

Sin dai suoi primi sviluppi, intorno al 1840, la fotografia – che è un mezzo flessibile – si è adattata ad ogni inversione e svolta delle mode e del mercato. Sarebbe possibile e, forse, anche giustificabile, scrivere una storia della fotografia senza quasi considerare gli individui che l’hanno fatta, ma solo le ideologie impersonali più importanti, ossia un resoconto cronologico incentrato principalmente sulle notizie, la pubblicità e la moda. Sarebbe sicuramente un compito interessante e complesso e riguarderebbe anche elementi non visivi, origine delle opinioni dominanti e controllo sociale. Scorrendo la collezione di Domenico mi è venuta in mente proprio questa idea. Ci sono molti modi per viaggiare e altrettanti per farsi accompagnare nei viaggi delle fotografie: proprio per questa loro “essenza anonima” (chi è il soldato della foto n.8? E la ragazza della 9?)  la semiologia fotografica resta limitata ai risultati del ritrattista momentaneo… come direbbe Roland Barthes.

Ma non facciamo i “filosofi”. Piuttosto leggiamo le parole dello stesso Nardozza e ammiriamo questa selezione di rarità. Non tanto per i soggetti e i formati, quanto per la variegata collezione di tecniche di ripresa e di stampa – ferrotipi, dagherrotipi, lastre al collodio, negativi – e per il simpatico “contorno pubblicitario” costituito dalle réclames degli studi… una chicca. Facciamoci trasportare in un mondo che non c’è più e assaporiamone tutta la sua bellezza.

Nota. Alle fotografie – scansionate direttamente da Domenico – è stato applicato un leggero contrasto e una minima decolorazione dei toni “caldi”, particolarmente accentuati a causa dell’ingiallimento fisiologico della carta provocato dal tempo. In ogni caso ci sembra che mantengano ugualmente integro tutto il loro “spirito”.

Preservare per ricordare

di Domenico Nardozza

Il compito del fotografo non è solo quello di rappresentare la realtà o di creare un’emozione, ma anche quello di conservare e di preservare dal tempo ciò che si è riusciti a catturare o a costruire in un determinato momento,  per custodire la memoria delle cose e delle persone.

Da questa considerazione e dalla polvere dei cassetti dei miei nonni è nata la voglia di conservare ciò che appartiene al passato, affinché possa essere tramandato ai posteri.

Ho iniziato a raccogliere e ad unire “schegge di ricordi”, alcuni appartenenti alla mia famiglia e altri ritratti di persone sconosciute che ho trovato sulle bancarelle di mercatini e proprio da questo mio  prezioso puzzle di ritratti ho scoperto un percorso di tecniche, di modalità, di espedienti utilizzati dai fotografi per rappresentare al meglio le emozioni delle persone fotografate, la loro storia, il contesto e il ceto sociale di appartenenza. Infatti, come diceva Robert Doisneau,  la fotografia non è altro che “una battaglia disperata contro l’idea che siamo tutti destinati a scomparire”.

E su questo filo conduttore, come un funambolo nella nebbia, ho iniziato a catalogare ogni tipo di posa , dai primi dagherrotipi, ai ferrotipi, alle lastre di vetro fino ad arrivare alle pellicole. Questo mio lavoro, inizialmente di mera raccolta di antiche pose, durante il tempo si evoluto in una selezione di ritratti che più mi hanno interessato sotto il profilo compositivo, foto riguardanti gruppi familiari e altri caratterizzati da  rappresentazioni di vita comune, tutti elementi di un particolare tessuto sociale in un determinato momento storico. Un’accurata ricerca legata ai paesaggi, agli uomini e agli eventi, nel modo in cui sono stati rappresentati dagli autori,  un’analisi a 360 gradi che coinvolge tutti gli aspetti della fotografia, da chi l’ha realizzata, la tecnica  utilizzata per la  realizzazione e perché è stato scelto di  farla in quel modo.

Questa carrellata di ferrotipi, carte da visita e fotografie è una piccola testimonianza della tecnica fotografica  in uso nel periodo che va dal 1860 al 1930, una passeggiata tra le scelte scenografiche ed il gusto nell’impostazione dell’immagine dei vari Fotografi come i fratelli Luigi e Giuseppe Vianelli, Giacomo Brogi, Luigi Montabone e tanti altri  fotografi dilettanti o  anonimi ambulanti che ebbero il merito di portare la fotografia anche nelle aree rurali e nelle zone di guerra documentando ogni evento storico, ogni volto: dal contadino alla nobildonna, dal paesaggio artistico ai fronti della Grande Guerra. La fotografia insomma, portava dovunque il senso della rappresentazione individuale in quanto tutti potevano farsi ritrarre.

Concedere l’immagine del proprio volto o dell’intero nucleo familiare rappresentava un momento importante per la famiglia nel corso degli anni, in quanto era un momento di vita familiare da immortalare o, come nel caso degli emigrati che inviavano i ritratti come cartoline, un modo di far sentire la vicinanza ai propri cari lontani. Attraverso il possesso della propria immagine fotografica, le persone più umili sentivano meno la differenza di ceto sociale, in quanto, prima dell’avvento della fotografia, il ritratto era appannaggio solo delle classi sociali più agiate. In un certo mi sento di affermare che i fotografi, grandi artisti o semplici professionisti, contribuirono a creare un equilibrio sociale dove tutte le persone potevano sentirsi le une uguali alle altre, anche solo per il momento di uno scatto fotografico.

L’arricchimento della mia fototeca ha cambiato anche il mio approccio alla composizione delle pose, ho imparato pian piano  a costruire ogni fotografia valorizzando  tutti i particolari: i colori, le emozioni, le forme, le espressioni dei volti. Questo non vuole essere un  mio punto di arrivo, ma un punto di partenza per nuove esperienze che mi piacerebbe condividere anche con altre persone interessate a questo percorso.

La fotografia non è una arte statica ma dinamica, si evolve continuamente infatti proprio  facendo tesoro delle esperienze dei precursori e applicando le nuove tecniche moderne, ciascun fotografo, professionista o dilettante come me, può far vivere le proprie immagini trasmettendo emozione e sentimento. La presentazione della mia ricerca vuole essere uno stimolo all’attivazione dell’immaginazione e della fantasia che tutti noi, sono convinto, serbiamo nel cuore.

 

Domenico Nardozza è nato a Roma il 22 luglio del 1959. E’ ragioniere e lavora nella sezione amministrativa dell’ENEA. Appassionato di fotografia a tutto campo, è anche un cultore attivo della ricerca storica: nell’ottobre scorso si è recato nel deserto egiziano dove, in collaborazione con l’università di Padova, si è dedicato a misurare e mappare le postazioni italiane sul fronte della battaglia di El Alamein. Davvero un soggetto poliedrico… bravo Domenico!

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