Sopra un manto… di pixels: come fare belle foto sulla neve
Prima Parte

La misurazione SPOT viene solitamente effettuata nella porzione centrale dell’inquadratura e corrisponde all’incirca al 2-5% dell’area coperta dal mirino (messa a fuoco e misurazione sulla Canon EOS 3)
Da sempre, uno spazio aperto innevato suscita nell’appassionato di fotografia un fascino irresistibile. Oggigiorno, quasi tutte le fotocamere digitali dispongono di un’ampia gamma di modalità di controllo dell’esposizione (ne abbiamo ampiamente discusso, vedi: teoria dell’esposizione corretta), ma ciò che sappiamo conti di più è sicuramente la regolazione manuale dei valori: indispensabile. In più di un’occasione abbiamo parlato di lettura spot, cioè di rilevazione dei parametri esposimetrici solo su una parte limitata dell’inquadratura e, quando si vuole affrontare una “ripresa innevata”, diventa fondamentale poterne sfruttare appieno tutte le potenzialità. Procediamo con calma.
Perché sulla neve si sbaglia spesso l’esposizione?
Come abbiamo visto nei “3 concetti base sulla “teoria della corretta esposizione“, gli esposimetri incorporati nelle fotocamere (anche le più costose e sofisticate) non sono in grado di misurare l’intensità della luce che colpisce un soggetto (luce incidente), bensì la quantità di luce riflessa da quest’ultimo. Il valore rilevato viene prevalentemente influenzato dal colore del nostro soggetto: in ombra, un soggetto chiaro potrebbe avere la stessa luminosità di uno nero in pieno sole…
Per cercare di fornire valori attendibili, nella maggior parte dei casi, gli esposimetri incorporati nelle fotocamere (e anche quelli esterni quando misurano la luce riflessa) vengono tarati su una tonalità di grigio che “dovrebbe corrispondere” al valore di riflessione medio dei soggetti più comuni: paesaggi, edifici, persone, ecc. Si tratta del cosiddetto grigio al 18 per cento, che riflette appunto il 18% della radiazione luminosa da cui viene colpito (ecco spiegato il mistero di quel cartoncino grigio su cui ancora molti fotografi puntano la fotocamera prima d’iniziare uno shooting: misurano semplicemente l’esposizione più adatta alle condizioni di luce in cui si trovano; soprattutto in esterni, dove l’illuminazione non è ovviamente controllabile come in studio). Ma se buona parte della nostra inquadratura è occupata da un soggetto che ha un potere riflettente molto diverso da questo valore medio (e la neve riflette circa l’80% della luce!), l’esposimetro non può che restituirci dei valori di lettura errati, perché “scambiando” la neve per un soggetto grigio illuminato molto intensamente, tenderà ad impostare dei parametri tali da trasformare un distesa candida in una landa grigia! Non a caso molti professionisti ricorrono ad un esposimetro esterno per misurare la luce incidente, ma è una tecnica che richiede esperienza e per ragioni pratiche è spesso inutilizzabile.
2 modi diversi di affrontare il problema con la misurazione Spot
1. Se la vostra camera digitale possiede un sistema di misurazione della luce spot, potrebbe essere sufficiente effettuare la rilevazione dei valori esposimetrici su un particolare più scuro degli alti toni della neve: dovete fotografare un ritratto? misurate il volto del vostro soggetto; un panorama? misurate una roccia, un albero, un edificio, il piumino del zio Pierino, ecc… al limite, misurate il palmo della vostra mano, in mancanza d’altro. I valori così rilevati si dovranno usare per lo scatto premendo, nel caso fosse presente, il pulsante di blocco dell’esposizione, altrimenti regolando manualmente la fotocamera con il tempo e il diaframma ottenuti nella misurazione.
2. Un altro sistema valido consiste nell’effettuare la lettura spot direttamente sulla neve e correggere poi l’apertura di uno o due stop in più rispetto al valore fornito dall’esposimetro: uno spot abbondante per la neve in ombra, due per quella in pieno sole. E’ un metodo abbastanza valido, ma presenta diverse “insidie” e alcune delle quali vengono illustrate nella foto qui sopra. Si tratta di tre diapositive – Fujichrome Astia 100 ISO – scansionate così come le vedete, senza modificazioni di alcun tipo dei toni o della luminosità. La prima è stata scattata seguendo i parametri impostati dalla fotocamera. La prima è stata scattata seguendo i parametri impostati dalla fotocamera; la seconda aprendo di uno stop i valori calcolati e la terza a +2 stop. I “pro e i contro” sono evincibili semplicemente osservando le immagini. Conclusioni: fotografare la neve non è facile, né tantomeno “istintivo”.
Oltre gli automatismi (esposizione Media Pesata al Centro)

Quanto “più cielo” s’inserisce nell’inquadratura, tanto più accurata risulterà l’esposizione. E da un telefonino Nokia N95 non si può pretendere di più…, St. Moritz
Nel caso in cui la macchina fotografica consentisse soltanto una lettura esposimetrica “media pesata al centro” converrebbe invece scattare con una sovraesposizione di circa +1-1,5 stop (in base alla quantità di neve presente nell’inquadratura) rispetto a quanto indicato dalla fotocamera, sempre impostando manualmente i valori di esposizione, o utilizzando il comando di compensazione dell’esposizione. Infatti, con gli esposimetri multiarea è decisamente meno semplice quantificare il valore di sovraesposizione necessario a compensare la lettura sul bianco della neve, dal momento che la camera imposta automaticamente una compensazione assai variabile a seconda del tipo di soggetto e della disposizione delle “aree bianche” presenti sulla scena…. che fare? se la soluzione scelta non convince, anche nell’era supertecnologica del digitale conviene sempre usare i rimedi della nonna ed effettuare una serie di scatti a forchetta variando l’esposizione di ±1 stop. Il comando del bracketing automatico (ormai presente su tutte le fotocamere di fascia media) ci viene in aiuto e ci consente di eseguire una serie di scatti (solitamente tre) con un valore di esposizione variato rispetto a quello nominale.
(continua…)
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