Qualche sconsolata considerazione sulla morte della fotografia… e dell’immagine
di Antonio Lo Torto
Contro la mia volontà, mi ritrovo a raccontarvi una storia fatta di social media, gadget, diavolerie tecnologiche e spazzatura varia che, ahinoi, ci costringe in qualche modo “a stare al passo con i tempi”.
Lo so, la tecnologia, in un settore assediato dalla competizione com’è quello della fotografia, è il vantaggio competitivo fondamentale a cui tutti i marchi aspirano più di ogni altra cosa, ma, forse è il caso di dirlo, a volte si esagera un po’…
In questi giorni un rivenditore californiano di carabattole cinesi, che ha basato tutta la sua fortuna sulla comunicazione di tipo “social”, ha immesso sul mercato l’ennesimo giocattolo di plastica da appiccicare all’obiettivo dello smartphone allo scopo di aumentarne le prestazioni.
L’azienda si chiama HD360X e ha sede a La Verne, un sobborgo di Los Angeles. M’immagino di cosa si possa trattare: un magazzino stracolmo di scatoloni provenienti da Hangzou e scaricati da un container al porto di LA, un paio d’impiegate che rispondono al telefono e si occupano della contabilità, quattro messicani che impacchettano e spediscono la “preziosa” mercanzia. Ne ho viste a bizzeffe di situazioni come questa in vita mia… e il titolare si arricchisce.
Il potere sta tutto nella comunicazione (o nella testa delle persone): “Sei un ‘aficionado’ dei social media a cui piace postare fotografie di tutto ciò che fa? Ti piacerebbe fare foto a oggetti lontani, ma non vuoi spendere i tuoi soldi acquistando uno zoom di qualità per una costosa reflex? Da oggi puoi ottenere la stessa qualità col nostro prodotto… ecc“.
Io dico solo una cosa e per quanto riguarda le oggettive “qualità” del prodotto lascio a voi giudicare: basta! Mi sono rotto le scatole di vedere un mondo – che fino a qualche tempo fa era il MIO mondo – deturpato da un commercio di bassa lega e dalle squallide logiche del mercato globale. La fotografia è morta! L’immagine non esiste più.
Scrive Simone Soldà, sul suo blog (bello) lightwork.it: “Per prima cosa è cambiato il panorama delle persone abilitate a scattare fotografie e con l’accesso alla tecnologia necessaria. Una volta solo il fotografo di paese aveva accesso alle attrezzature adatte a fare fotografie di qualità e tutti noi eravamo relegati al classico 50mm di serie montato sulla reflex costosissima, dove mettevamo il rullino da 24 o 36 pose, correvamo a farlo sviluppare e pagavamo le stampe a caro prezzo“.
Sacrosante parole. Ma non solo…
Oltre al fatto che il lavoro di fotografo è alla stregua di quello dell’omino che andava a vendere il ghiaccio col carretto quando mio nonno era bambino, l’immagine è diventata talmente preponderante nella cultura moderna che ha trasformato il nostro modo di pensare. Sotto tutti gli aspetti. (Pensiamo alle famigerate agenzie di stock che hanno dato il colpo di grazia a questo settore oramai totalmente allo sbando, mercificando e sminuendo il lavoro di tantissimi stimati artigiani della macchina fotografica).
Un tempo la gente leggeva i libri, oggi si limita alle didascalie sotto alle fotografie postate su Facebook. E tutti si devono dar da fare a produrre qualcosa che, nell’immediato, riesca a toccare l’immaginario comune, senza perdere troppo tempo. Questa è la logica degli spot televisivi. La logica del mondo in cui viviamo.
Nella storia umana c’è stato un tempo in cui il comportamento delle persone veniva condizionato dalla paura e dalla superstizione. C’è stato poi il “secolo dei Lumi” che, per centinaia di anni, ha mutato il nostro modo di pensare e ci ha condotto – non saprei dire se sia stato un bene o un male – all’ottenimento di conquiste politiche e sociali prima impensate. Oggi siamo nell’era delle emozioni. Emozioni forti, violente, lo “sballo”, in cui tragico ed effimero s’intrecciano in un abbraccio moralmente esiziale… d’altronde, ogni telegiornale inizia con un brutale assassinio e si conclude con una sfilata di moda. Parliamo di televisione, come sempre. Croce e delizia dei nostri tempi. Tutto ciò di tecnologico con cui oggi abbiamo a che fare, altro non è che una sua forma evoluta. Persino il computer.
La coercizione ha ceduto il passo ad una ben più pericolosa adulazione, attraverso la subdola esaltazione dell’ego. Il “tutto e subito” ha preso il posto del metodo e della costanza: anche tu sei grande se acquisti questa app! E il nostro Nando Rondinelli se la deve vedere con “photographers” ventiduenni senz’arte né parte (ma tante app sullo smartphone!) che s’inalberano se si permette di far loro qualche critica.
La gente vuole guardare le figure, non vuole leggere le storie. Troppo faticoso. Le persone vogliono scattare “belle foto” come i professionisti, ma mettersi a studiare un manuale d’istruzioni di una reflex è un compito improbo… per carità! Al massimo si può andare su Youtube per seguire un tutorial che non duri più di 8 minuti. E i produttori di zoom da appiccicare all’obiettivo dello smartphone prosperano.
Quando dico che “l’immagine non esiste più” mi riferisco ad un certo tipo d’immagine, quella fatta con la testa e non con “la pancia” – per usare un’espressione oggi tanto in voga. Scattare una fotografia così, tanto per farlo, e poi accorgersi quanto sia venuta bene non è merito di chi l’ha scattata, ma della Apple, o della Samsung.
Scimmiottare i grandi maestri con i propri “capolavori” pubblicati su Instagram è pratica comune, tanto che questa vera e propria rivoluzione tecnico-culturale sta prendendo piede anche in altri campi. Come la musica. Oramai tutto è facile, tutti possono fare tutto grazie alle app. E i recenti successi ai vari festival musicali o nei talent show per cui oggi le masse delirano ne sono la dimostrazione. Chissà Fabrizio De Andrè che avrebbe detto ascoltando Occidentali’s karma…?
Basta vi prego! Lasciatemi in pace… E’ una mia scelta estraniarmi da questo mondo, lo so, ma come si fa? Come si fa a vivere in mezzo al pressapochismo e alla superficialità delle app, quando c’è gente che ha perso il lavoro a causa di questo? Quando un “giovane Presidente del Consiglio” dichiara in conferenza stampa che grazie al Job’s Act la disoccupazione è stata sconfitta (!) sbandierando la meletta del suo I-phone come se fosse il Tricolore… (ma l’hanno pagato? Mah..?!).
Un tempo a cinquant’anni le donne erano nonne. Guardavano indietro alla loro vita come ad un opera ormai compiuta, magari circondate da figli e nipoti. Oggi le cinquantenni si fanno i selfie nei bar, con le labbra a culo di gallina e le dita a V, mentre vanno a caccia di ragazzini… grazie anche alla tecnologia.
I tempi cambiano, ne sono cosciente. Da bambino sorridevo osservando mia nonna imprecare mentre guardava il TG e oggi mi rendo conto di essere diventato molto peggio di lei. Ma forse aveva ragione.
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