Professione fotoreporter: gli elementi fondamentali della comunicazione

Un bel sorriso della regina d’Inghilterra durante una visita al Cenacolo di Leonardo (ph.: A. Lo Torto – Milano, 1998)
Da oggi cominciamo a parlare un po’ di professione. Lavorare nella fotografia non è una cosa semplice. Soprattutto coi tempi che corrono: la concorrenza è tanta e sempre più agguerrita; il progresso tecnologico ha abbassato le barriere all’ingresso in questo settore e, mi consenta (!), cani e porci si sono improvvisati fotografi professionisti… è un boccone amaro da mandare giù.
Partiamo dal mestiere del fotoreporter, affrontando il discorso un po’ alla larga. Vediamo come preparare un servizio fotografico, considerando i suoi aspetti di base: cosa fotografare? perché concentrarsi su un soggetto piuttosto che un altro? quali idee dobbiamo coltivare per avere successo? ecc. Se avrete la pazienza di seguirmi anche nelle prossime settimane, troverete il mio discorso molto utile, oltre che interessante. In progetto abbiamo anche la testimonianza di un noto fotogiornalista che pubblicheremo quanto prima. Partiamo.
Messaggio, codice e canale: gli elementi fondamentali della comunicazione.
Il reportage è una forma di comunicazione. Come avviene per qualsiasi altro mezzo, è necessario che esso abbia un messaggio da inviare, un codice con cui inviarlo ed un canale attraverso cui diffonderlo – un telegrafista deve sapere che testo trasmettere, deve conoscere il linguaggio morse e deve essere in grado di usare il telegrafo, non vi pare?!
Il nostro codice è il linguaggio fotografico, se vogliamo veicolare e far capire un messaggio tramite le immagini. La carta stampata (o Internet) ad esempio, è il canale da sfruttare per trasmettere queste immagini. Soffermiamoci un momento, allora, proprio sul messaggio da inviare con la fotografia. Così come parlare, scrivere o telefonare senza saper cosa dire o senza aver niente da dire ci farebbe fare la figura degli stupidi, altrettanto avverrebbe con la fotografia se non fossimo in grado di palesare le nostre idee a proposito di quello che vogliamo o dobbiamo comunicare. Pertanto, la ricerca e il chiarimento del messaggio devono necessariamente precedere la sua comunicazione: senza messaggio non c’è niente da comunicare…
Purtroppo, però, in fotografia la cosa non è per niente così scontata: migliaia di fotoamatori, durante i fine settimana, scattano a più non posso e poi si ritrovano tra le mani una montagna di spazzatura, un enorme numero d’immagini che non dicono niente, che sono “scollegate” e sono incapaci di articolare un discorso compiuto, proprio perché prive di una riflessione iniziale su quanto si vuole inviare per avere una benché minima forma di comunicazione. E’ inutile fare prima di riflettere, lo sanno anche i bambini. Anteporre l’azione all’intenzione vuol dire saltare dei passaggi – è come telefonare a qualcuno senza sapere cosa dirgli.
Il primo e indispensabile passo da compiere, dunque, è quello di meditare bene sul messaggio che vogliamo inviare per mezzo delle nostre immagini: la fotografia è una forma comunicativa proprio perché tramite essa facciamo pervenire un messaggio al mondo esterno ed una vera e propria comunicazione è ottenibile soltanto tramite un discorso completo e comprensibile… altrimenti si tratta di poesia ermetica.
Facendo del reportage, ci rendiamo conto che i messaggi possibili (ed i relativi servizi fotografici possibili) sono molteplici – un soggetto può essere visto in mille modi diversi, se vi sono mille persone diverse ad osservarlo. Prima di tutto, però, bisogna capire dove cercare questi messaggi e come cercarli.

1971: John Frazier, vincitore del titolo mondiale dei pesi massimi contro Mohammed Alì (copyright Hulton Getty Picture Collection Ltd.)
In questo stadio di preparazione del servizio fotografico, che potremmo definire fase dell’invenzione, l’informazione è fondamentale: letture e approfondimenti, studio e analisi degli avvenimenti, confronti fra personaggi, situazioni, atmosfere e opinioni divergenti – potenzialmente fotografabili, ovviamente – sono l’indispensabile presupposto per la costruzione di un discorso per immagini. E’ la “fase giornalistica” del reportage, in cui prima il vostro compito è quello di trovare il tema del vostro lavoro, poi approfondire l’argomento da un punto di vista informativo, successivamente capire il perché e cosa volete dire a proposito di quel soggetto e, infine, scegliere il modo con cui raccontarlo. E’ la fase in cui il messaggio si integra con il codice, tenendo sempre presente il canale che si vuole impiegare.
Solo dopo questo lavoro sarete in grado di fare uno sforzo per far sì che questo codice e questo messaggio diventino il vostro codice ed il vostro messaggio, affinchè la vostra comunicazione diventi chiara, riconoscibile e anche piacevole. Una volta compiuti questi passi potrete cominciare a pensare all’azione: come affrontare “visivamente” la vostra idea e che tipo di fotografie scattare.
A grandi linee, un fotoreporter ha due modi di guadagnarsi da vivere:
- l’incarico diretto del cliente (non solo giornali o riviste, ma anche agenzie, aziende, enti pubblici o soggetti privati – pensate al fotografo di matrimoni). Ovviamente, agli inizi di una carriera, le occasioni di venire cercati direttamente da chi ha bisogno di voi saranno piuttosto limitate, ma date tempo al tempo e impegnatevi sempre in quello che fate.
- realizzare un reportage da proporre: che è forse l’unico modo che un esordiente ha a disposizione per farsi conoscere professionalmente e per cercare di guadagnare qualcosa. Inoltre, è anche l’unico modo che ha per continuare a lavorare quando, a professione avviata, deve dimostrare di essere al passo con i tempi e sempre sulla cresta dell’onda… eh sì, ragazzi, vi siete scelti un mestiere difficile.
Insomma, professione fotoreporter significa pensare, progettare e realizzare un buon servizio fotografico, sempre e costantemente. Tutto ciò equivale ad un investimento di soldi, materiali ed energie – fisiche e mentali – che bisogna essere capaci di pianificare e mettere in atto nel migliore dei modi, per evitare di fallire economicamente, certo, ma anche (e soprattutto, forse) psicologicamente.
A presto, ALT
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