Deprecated: get_settings is deprecated since version 2.1.0! Use get_option() instead. in /home/clubfoto/public_html/wp-includes/functions.php on line 5214
Libri: “Obiettivo sensibile”. Cronaca e sangue in bianco e nero | Club Fotografia

Libri: “Obiettivo sensibile”. Cronaca e sangue in bianco e nero

di Cesare Martinetti

(La Stampa)

La Torino predigitale di Solavaggione. Trent’anni di fotoreportage per La Stampa

Il commissario Montesano disarma il testimone-assassino a Torino nel 1970 (Fonte: La Stampa)

Questo non è un libro di fotografia: è un libro d’amore per un lavoro che ha dato felicità ai fortunati che l’hanno potuto fare. Proprio come scriveva Primo Levi, celebrando l’operaio Faussone nella Chiave a stella: amare il proprio lavoro è la migliore approssimazione concreta della felicità sulla Terra. Sergio Solavaggione ha messo la citazione in esergo al suo volume che comincia con questa frase: «Le fotografie di questo libro non sono famose…». Ce ne sono di belle, anche di bellissime, di normali e anche di mediocri. Ma vanno prese tutte insieme, secondo un filo narrativo che è il lavoro del racconto quotidiano di una città, il resoconto di un feeling incessante con gli avvenimenti ordinari e straordinari, gioiosi e spesso dolorosi, perché come dice l’immutabile regola del mestiere, le buone notizie non sono notizie.  

Solavaggione ha fatto il fotoreporter alla Stampa per più di cinquant’anni e dunque in questo Obiettivo sensibile (editore Daniela Piazza) c’è solo una piccola parte del suo lavoro. È un’autobiografia e insieme la testimonianza di un’epoca in cui fotografo e cronista vivevano in simbiosi, coppie di fatto, flash e taccuino, più complici che colleghi. A loro non si chiedeva il banale resoconto di un avvenimento, ma molto di più: rubare l’anima ai protagonisti dei fatti, vittime o colpevoli. Quel giornalismo si formava in un rapporto carnale con la città. I lettori erano messi in condizione di vivere in sintonia con le pulsazioni di quella comunità e il giornale esprimeva un magnetismo con i propri lettori. Razionale ed emotivo, sentimentale persino.  

Per arrivare a questo, il lavoro del fotografo era esso stesso giornalismo che moltiplicava l’efficacia del cronista: bisognava essere lì, in quel momento, ascoltare il respiro dei protagonisti, catturare l’attimo, in un’epoca in cui gli attimi valevano per l’appunto soltanto un attimo. E non è un gioco di parole. Nel mondo digitale la rappresentazione della realtà è un flusso continuo di parole-informazioni e immagini, ogni avvenimento è ripreso da decine, centinaia di operatori: fotoreporter professionali, videocamere installate ovunque, semplici cittadini universalmente muniti di smartphone. La storia che racconta Solavaggione invece è quella di un mondo che diventava immagine pubblica solo se e quando c’era un fotografo a scattare.  

In Obiettivo sensibile si leggono infiniti esempi, momenti irripetibili come quello del cronista della Stampa Arturo Rampini – un «principe della nera» – che porta il testimone di un delitto a bere un whisky, invita ad unirsi il capo della Mobile Montesano che arriva e con elegante fermezza gli sfila una Beretta dalla tasca del blazer, scoprendo così il vero assassino. Solavaggione c’è e scatta. Era il 1970. Era una stagione di foto con i morti stesi per terra nel sangue, di arrestati immortalati con le manette, la faccia rabbiosa, sgomenta spesso impaurita. C’è una donna arrestata che lancia una scarpa al fotografo nei corridoi della questura. Solavaggione ci racconta di trucchi e riflessi per portare a casa la foto, a ogni costo. Drammatiche e no, sempre speciali come una Mina giovanissima in calzamaglia o un Giorgio Gaber in concerto col viso solcato da lampi di luce. 

La tecnica digitale dà oggi possibilità infinite e fa apparire quel lavoro quasi primordiale. Si lavorava con pesanti Rolleiflex da ricaricare a ogni scatto con la piccola manovella; poi le Nikon a motore; in tasca sempre una Minox salvavita. E poi diversa è la sensibilità, si è entrati nell’era della privacy, mai si potrebbe riprendere un arrestato in manette, né pubblicare la foto di un cadavere per strada. La cronaca appare ora quasi scarnificata, si fa con i guanti e non è il caso di esprimere rimpianti: ogni epoca ha i suoi modi. Per le emozioni si cercano le foto di guerre lontane o la sofferenza dei migranti e il corpo del piccolo siriano annegato sulla spiaggia. Quell’epoca è passata, Solavaggione ne è stato un appassionato protagonista insieme ai colleghi della Stampa che in una foto di gruppo appaiono come uno squadrone in un campionato in cui si battevano con vibrante rivalità i bravissimi fotoreporter della Gazzetta del Popolo e freelance agguerriti nella lotta per la foto che avrebbe dato un senso alla giornata.  

I giornali di adesso non hanno più servizi fotografici interni, la coppia cronista-fotoreporter si riforma casualmente, la società è liquida, può capitare che la foto del giorno arrivi via mail da un lettore che passava per caso e l’ha scattata con il telefonino. Il lavoro per i fotografi è diventato semmai più difficile, la giungla urbana e professionale sempre più fitta. Niente nostalgie. Ma l’impressione è che in quegli scatti in bianconero su pellicola ci fosse più carne e più vita. Ecco, questa sì.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.