Le vostre foto: dove era la fabbrica (fotografie di Barbara e Massimo)
Vi ricorderete che fino a qualche tempo fa, sulla pagina di Facebook del nostro club, il sottoscritto ha più volte insistito affinchè gli autori di immagini particolari, con soggetti di archeologia industriale, fabbriche dismesse e opifici abbandonati, le postassero per condividerle con gli altri. Lo scopo è presto detto (e alcuni di voi già lo sanno): avremmo voluto poter esporre queste fotografie in occasione del prossimo Lucca Digital Photo Festival che si svolgerà nella città toscana dal 19 novembre all’11 dicembre prossimi. Come spesso capita, però, ALT ha fatto i conti senza l’oste e, contattato il presidente della manifestazione, è venuto a sapere che il tema principale del festival che si svolgerà quest’anno coprirà argomenti estranei a quanto prospettato… Comunque, grazie alla disponibilità di Enrico Stefanelli (il presidente del LDPF, appunto), il contatto con l’organizzazione rimane e, come si dice, la speranza è sempre l’ultima a morire.
In ogni caso, oggi vogliamo presentarvi alcuni degli scatti migliori eseguiti sul tema dell’archeologia industriale, che due amici fotoamatori di clubfotografia.com hanno appositamente realizzato per l’occasione. Sarebbe stato davvero un peccato non poterveli mostrare uno accanto all’altro, come si fa nelle mostre “vere”. Sono immagini che io definisco poetiche ed il cui scopo è quello di essere una testimonianza.
Gli autori delle fotografie sono fiorentini: Barbara Marilli e Massimo Lombardi. Hanno “esplorato” alcuni siti industriali abbandonati nei dintorni della loro città, e lo hanno fatto con l’entusiasmo che ci vuole quando si porta avanti una ricerca di questo genere (oltre che con l’occhio degno di un professionista). Si tratta in ogni caso di appunti: un abbozzo di quella che sarebbe potuta diventare un’occasione importante se la sua realizzazione si fosse concretizzata grazie all’aiuto e alla collaborazione di molti di voi (comunque non fasciamoci la testa prima che sia rotta… verrete sistematicamente aggiornati sui futuri sviluppi della questione).
I vetri rotti, i muri sgretolati, i cancelli arruginiti, le occhiaie vuote delle finestre stanno lì, a decomporsi e a mostrare la rapidità del mutamento, l’avvento repentino di nuovi modi di produrre grazie a nuove tecnologie e a nuove localizzazioni. Il nuovo che sovrasta il vecchio. Eppure il degrado e la rovina progressiva lasciano intatta la dignità ed il rispetto per la fatica ormai spenta. Risuonano ancora le “voci” dei macchinari in opera e le strutture e le capriate dei capannoni ormai spogli rimandano a un tempo lontano. Senso di sudore, di polvere, di fatica, di mani callose quando le 40 ore erano un sogno lontano e il lavoro infantile una realtà quotidiana.
Rimembranze di un antico sistema produttivo, oggi sembrano quasi degli “oggetti” sopravvissuti a un passato di strutture materiali che rimangono comunque corposi e inamovibili nei caratteri specifici del presente. Attraverso riprese a tutto campo, accostamenti e particolari, Barbara e Massimo sembrano aver colto lo spirito della territorialità archeologica industriale nel nostro paese.
Le tracce lasciate dai processi e dai fenomeni di industrializzazione costituiscono una sorta di museo all’aperto. Un museo di “cose” recenti, certo, ma proprio per questo più vicine al nostro mondo.
Antonio Lo Torto
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