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I sistemi di puntamento: la “visione diretta” | Club Fotografia

I sistemi di puntamento: la “visione diretta”

di Antonio Lo Torto

Uno dei fiori all'occhiello della mia "collezione privata": la Crown Graphic Special della Graflex. E' dotata di un sistema "doppio": telemetro e mirino a traguardo. (ph.: A. Lo Torto)

L’ignoranza è una gran brutta bestia. Ma chi è ignorante, sa di esserlo e lo ammette con tranquillità è, secondo me, una gran brava persona. Pur avendo la sfortuna di non sapere, la consapevolezza del suo stato e la voglia d’imparare nobilitano il soggetto in questione, trasformandolo in un “sapiente potenziale”… Pertanto ciò di cui bisogna veramente preoccuparsi NON è l’asineria diligante, fronteggiabile con i dovuti strumenti, bensì l’atteggiamento spocchioso e supponente di chi, ignorantissimo, crede di sapere e pontifica dal basso della propria incompetenza. Costui è il vero nemico…

Voi vi domanderete: “mbè?! E allora?”. In effetti questo incipit decisamente trombonesco potrà apparire, agli occhi dei più, come il manifesto scritto della vanagloria. E in effetti lo è… Ma lasciatemi sfogare! Orbene, torno di recente da una specie di “mostra-scambio” dove, amici cari, ne ho sentite davvero delle belle. Lasciamo perdere, va’.. parliamo delle nostre cose che è molto meglio. Oggi, infatti, l’argomento che desidero affrontare si lega indissolubilmente al test della Leica M9, effetuato dal nostro Tonino Bettini qualche giorno fa.

I sistemi di puntamento a “visione diretta”

La storia della tecnica fotografica, dai suoi esordi ai giorni nostri, ci ha proposto svariati sistemi di puntamento – i “mirini”, in soldoni – che nel corso degli anni sono andati sempre più evolvendosi fino ad arrivare agli odierni display digitali.

Zeiss Ikonta mod. 518/16, 1949 (ph.: A. Lo Torto, 2011)

Il mirino a traguardo e l’errore di parallasse. Il sistema sicuramente più semplice e meno sofisticato di tutti è il cosiddetto mirino a traguardo, a visione diretta ovviamente. Sebbene separato dall’obiettivo della fotocamera, è costruito in modo da averne lo stesso angolo visivo, affinché l’immagine inquadrata sia la stessa ripresa dalla pellicola. Badate, ho detto “pellicola” e non sensore, perché con l’avvento della fotografia digitale questo tipo di sistema di puntamento non esiste più. E’ stato, in ogni caso, il “compagno più fedele” delle macchine fotografiche (specialmente di quelle di fascia più economica) per circa un secolo di storia.

La Zeiss Ikonta di fine anni ’40, nella foto qui accanto, è un bell’esempio di applicazione del mirino a traguardo (oggi appartiene a me, ma è un regalo che fece mio nonno a mio padre). Tutte le fotocamere compatte a pellicola ne sono dotate e l’assenza del pentaprisma e dello specchio ribaltabile interno (prerogativa delle macchine cosiddette Reflex) rende gli apparecchi a visione diretta particolarmente leggeri e dalle dimensioni decisamente contenute – da qui il nome “compatte”.

Il problema più evidente di questo genere di mirini è quello comunemente definito come errore di parallasse. Vediamo di cosa si tratta.

"L'errore di parallasse", il problema più comune dei mirini a traguardo (elaboraz. theredeer.it)

Il modo migliore per inquadrare esattamente un soggetto è quello che permette, con alcuni accorgimenti tecnici, di vedere esattamente l’immagine ripresa dall’obiettivo (il cosiddetto sistema TTL, Through The Lens, “attraverso l’obiettivo” appunto. Quello delle macchine reflex, per intenderci. Lo vedremo meglio più avanti).

Un semplice mirino a traguardo non consente il perfetto allineamento tra immagine ripresa e scena inquadrata proprio a causa del suo “decentramento” – sia pure di pochissimi centimetri – rispetto alle lenti dell’obiettivo. Ciò non avrebbe alcuna importanza nel caso ci trovassimo a fotografare soggetti a grandi distanze, ma quando queste si riducono (in un primo piano, ad esempio), ecco che il mirino inquadra un’immagine che, rispetto a quanto ripreso dall’obiettivo, risulta maggiormente spostata verso l’alto. Tanto più vicino è il nostro soggetto, tanto più grande diventa questo errore detto, appunto, di parallasse.

Quando il sistema di puntamento della nostra fotocamera altro non è che una semplice “finestrella” – come nel caso, appunto, del mirino a traguardo – una domanda lecita dovrebbe riguardare la messa a fuoco: “Come facciamo a sapere se ciò che inquadriamo è a fuoco o no?”. Ok, vi rispondo che il sistema più semplice di puntamento non può che non essere provvisto del sistema più semplice di messa a fuoco… ruotando un’apposita ghiera montata sull’obiettivo, si fa collimare la scala in metri da questa riportata con una tacca fissa, fino a raggiungere la distanza corrispondente tra fotografo e soggetto (di solito stimata “a passi” approssimativi).

Il telemetro

L’uso del telemetro “a coincidenza” per il controllo della messa a fuoco di un obiettivo fotografico inizia nel 1932. Il direttore tecnico della Zeiss Ikon, Heinz Kuppelbender, decise di avvalersene in sede di progetto della fotocamera Contax, l’apparecchio studiato come risposta commerciale alla Leica, sempre prodotta da un’azienda tedesca, la Ernst Leitz (www.storiadellafotografia.it).

Il sistema a telemetro della M9 (elaboraz. theredeer.it)

Il telemetro è uno strumento ottico in grado di misurare la distanza tra colui che guarda all’interno del mirino e un qualsiasi punto del suo campo visivo. Semplificando al massimo, è costituito da due distinti fori di visione posizionati ad una distanza fissa l’uno dall’altro: il primo foro di visione è dotato di un prisma che può essere ruotato e che riflette l’immagine proveniente dal foro stesso su uno specchio semi-trasparente posto all’interno del secondo foro di visione. In pratica nel mirino si vede il soggetto “sdoppiato”: la prima immagine proviene direttamente dal mirino stesso, la seconda da un prisma (o da uno specchietto) che la riceve da un’altra finestrella posizionata sempre sul frontale della macchina fotografica, ma dal lato opposto a quello del mirino. L’utilizzatore, agendo sulla rotazione del prisma, farà in modo che le immagini provenienti dai due fori si sovrappongano perfettamente e, raggiunta tale sovrapposizione, il grado di rotazione del prisma indicherà, tramite una scala, la distanza del punto visualizzato. Questo tipo di telemetro, detto “a coincidenza”,  può essere utilizzato per la messa a fuoco di un obiettivo fotografico basando il suo funzionamento sulla sincronizzazione tra l’angolazione del prisma e il meccanismo di messa a fuoco stesso dell’obiettivo: a quel punto, infatti, il soggetto risulterà perfettamente a fuoco.

Sostanzialmente, mettendo a fuoco, il prisma ruota e il soggetto risulta non sfocato quando si vedono le due immagini al centro del mirino perfettamente coincidenti. Il telemetro permette una messa a fuoco rapida e precisa , anche con luce scarsa. Inoltre, quanto maggiore è la distanza tra i due “fori” (la finestrella del mirino e quella del prisma ottico) tanto maggiore sarà la differenza di parallasse e, di conseguenza, tanto più il telemetro risulterà preciso.

Spiderman con una macchina a telemetro... (fonte: Internet)

E non solo: le più sofisticate fotocamere con messa a fuoco di questo tipo, come le Leica della serie M, dispongono, oltre che di un telemetro totalmente manuale costruito con gli ormai “mitici” 104 componenti di precisione, anche di un otturatore “a piano focale”  silenziosissimo. Un vantaggio non da poco, specialmente per le foto “naturali”, nei documentari e nelle candid camera… Il grande Henri Cartier-Bresson, nel corso della sua lunga carriera, ha sempre e soltanto scattato utilizzando macchine fotografiche a telemetro. Uno dei segreti delle sue grandi foto? Probabilmente sì (ma non solo ovviamente…). Anche Peter Parker a quanto pare…

Si ringrazia www.storiadellafotografia.it per le informazioni che hanno consentito di completare questo articolo.

One Response to I sistemi di puntamento: la “visione diretta”

  1. Pingback: Componenti: specchio e pentaprisma | TotalDesign

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