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Dorsi digitali? Parliamone. | Club Fotografia

Dorsi digitali? Parliamone.

Una splendida immagine di Marco Glaviano realizzata con un dorso digitale IQ180 della Phase One (copyright Marco Glaviano)

Tra gli appassionati di automobili circola un noto adagio: non c’è niente da fare, quella che conta è la cilindrata. Che significa, in poche parole, che avere più cavalli nel motore è sempre meglio. E per quanto riguarda le auto, penso di essere d’accordo.

In fotografia è possibile applicare lo stesso concetto alla dimensione del sensore (o della pellicola) di cui sono provviste le nostre fotocamere: un apparecchio digitale di medio formato produrrà sicuramente un’immagine più definita, incisa e complessivamente più piacevole di uno dotato di un sensore più piccolo (così come lo farà un equivalente analogico – un 120mm, ad esempio, rispetto ad una reflex 35mm). Per non parlare poi dei dorsi digitali…

In ogni caso, nel nostro settore più che in quello automobilistico, è doveroso fare qualche precisazione. Infatti, avendoci la disponibilità economica, penso proprio che chiunque dotato di buon senso preferisca acquistare un’Audi A6 da 3 mila cc. a quattro ruote motrici, piuttosto che una Panda mille. Considerazioni estetiche e di status a parte, l’Audi, oltre ad essere più veloce e più bella, appunto, è certamente più sicura e confortevole della Panda: airbags da tutte le parti, freni molto più potenti e un milione di soluzioni tecnologiche pazzesche capaci di trasformare un semplice trasferimento su strada in un’esperienza piacevole di per se stessa (leggi: controllo di trazione, ABS, computer di bordo, sedili avvolgenti e chi più ne ha, più ne metta). Non me ne vogliano i fanatici della Fiat, ma è così…

In fotografia, però, non è esattamente la stessa cosa: infatti, oltre a considerazioni legate alla “pura qualità” dell’immagine ottenibile con un sensore più grande, se paragonato ad uno di dimensioni inferiori, bisogna fare i conti (ed è proprio il caso di dirlo) con i costi decisamente più elevati dei prodotti di fascia alta rispetto ai concorrenti posizionati su quella media.

Phase One serie IQ su Mamiya 645ADF (courtesy of www.phaseone.com)

Cioè: una Fiat Panda 1200 cc., modello base, senza neppure gli alzacristalli elettrici, viene a costare sui 10.500 euro; mentre, volendo comprare un’Audi A6 TDI da 245 CV full-optionals, dobbiamo sborsare, chiavi in mano, poco meno di 60 mila euro: sei volte, quindi, il prezzo dell’utilitaria. Paragonando, invece, anche una super fotocamera di fascia medio-alta, come la Canon EOS 1-Ds Mark IV – con sensore CMOS APS-H da 16,1 milioni di pixels – ad un qualsiasi dorso digitale IQ della PhaseOne (applicabile su una macchina di medio formato come la Mamiya 645ADF, ad esempio) ci rendiamo conto che il differenziale di prezzo si gonfia paurosamente. La Canon costa all’incirca 4 mila euro, mentre il dorso arriva quasi a 45 mila! A questa cifra, quasi sicuramente, va aggiunto il costo della macchina medio formato (digitale o analogica) da abbinare al dorso stesso per poter scattare almeno una foto (!); e nel caso della Mamiya 645ADF, si tratta di altri 4 mila euro. Totale 49 mila euro: dodici volte la Canon!  La domanda sorge spontanea: ne vale la pena? (anche per un professionista, dico io). Se avete vinto 100 milioni di euro al Superenalotto la risposta è: sì, ne vale la pena! Ma se siete un soggetto “normale” vi conviene leggere quanto scriviamo qui sotto.

Dorsi digitali: i pro

  1. Il primo e più importante beneficio di un dorso digitale è, ovviamente, la dimensione del suo sensore. E ciò comporta considerazioni che vanno ben oltre la qualità delle immagini che sono in grado di produrre. Gran parte dei modelli oggi in circolazione hanno, più o meno, la stessa misura di un pellicola di 6×4,5cm, il doppio, cioè, del sensore CMOS APS-H con cui è equipaggiata, ad esempio, una super reflex digitale da 35mm come la EOS 1-Ds Mark IV, e addirittura quattro volte del meno sofisticato CMOS APS-C, in dotazione a moltissime altre fotocamere (come la EOS 1100D o l’ultimissima Fuji FinePix X-S1). Infatti, un sensore più grande non vuol dire solo più pixels sulla sua superficie, ma anche pixels di dimensioni maggiori. Ciò si traduce non soltanto in una maggiore risoluzione (files immagine più grandi), ma anche in un range dinamico più ampio e una drastica riduzione del rumore. Mentre gli apparecchi digitali reflex di piccolo formato raggiungono, oggi, all’incirca i 20 milioni di pixels, un dorso digitale di medio formato può arrivare fino a 80 milioni: a 240 pixel per centimetro, significa una stampa perfetta di partenza di 2,35×3 metri! (pazzesco! lasciatevelo dire…). I professionisti che realizzano i cartelloni pubblicitari da affiggere nelle città hanno bisogno di risoluzioni molto inferiori.
  2. Inoltre, i pixels più grandi riescono a registrare 16 bits d’informazione per colore, mentre quelli di un sensore più piccolo arrivano al massimo a 12-14 bits. Sembra una bazzecola, ma 16 bits tradotti in tonalità luminose significano 65.536 variazioni di colore contro le 4.096 di un 12 bits. Un gap così marcato, in termini d’immagine finale, vuol dire fotografie cromaticamente molto più ricche e più morbide nei profili di transizione tra una tonalità e l’altra, caratteristica che si rende evidente specialmente quando le immagini subiscono un’intensa lavorazione in fase di post-produzione.
  3. La separazione tra dorso e fotocamera consente, infine, di utilizzare la fotocamera medio formato esattamente come se si trattasse di una macchina fotografica a corpi mobili, di grande formato. Tutti quei movimenti di basculaggio e decentramento che abbiamo visto parlando di tecnologia tilt-shift, sono possibili proprio grazie a questa proprietà strutturale del dorso digitale mobile. Fotografi di still-life e di architettura, in modo particolare, beneficeranno di questa caratteristica più di chiunque altro. Il tutto sta nel decidere quello che si vuole fare nella vita: un investimento da 50 mila euro comporta, secondo me, una riflessione più che approfondita. Una volta acquisita questa tecnologia, però, potete star sicuri che non dovrete più spendere niente per i prossimi 15-20 anni.

Dorsi digitali: i contro

  1. Il costo, ovviamente, è il primo problema. Un dorso digitale non è sicuramente un aggeggio che si possono permettere tutti, specialmente i fotografi alle prime armi. Diciamo, più che altro, che si tratta di un attrezzo professionale, spesso in dotazione a grandi studi associati, con molti clienti “grossi” in grado di garantire un cash-flow sufficiente ad ammortizzare l’esborso iniziale nell’arco di qualche anno. Comunque, come ho detto sopra, una volta in possesso di un’attrezzatura di questo genere – macchina digitale medio formato, dorso ed un corredo di 4-5 ottiche al massimo – non vi servirà altro per molto, molto tempo. Ve lo assicuro.
  2. La lentezza di processamento delle immagini è un’altra pecca dei sistemi dorso-fotocamera. Per chi è abituato a lavorare con macchine equipaggiate con sensori più piccoli, troverà forse un po’ snervanti i tempi di scatto ed elaborazione delle fotografie. D’altra parte parliamo di immagini di 80 Megapixels… enormi. Sicuramente, una fotocamera di medio-formato con dorso digitale non farà mai parte del corredo di un fotoreporter o di un appassionato di viaggi o di eventi sportivi…
  3. Le dimensioni e il peso dell’attrezzatura rappresentano, infine, un problema non trascurabile. Sistemi di questo genere necessitano di tanta energia elettrica e, di solito, vengono utilizzati all’interno di studi specializzati. I fotografi che la lavorano in location utilizzando il dorso digitale sono costretti a portarsi dietro un buon numero di generatori di corrente, cavi e quant’altro necessario allo shooting. Comunque il wireless sta arrivando anche qui. Vedremo…        

I migliori dorsi digitali

Il modello Aptus II della Leaf pubblicizzato come il dorso digitale più veloce in commercio (courtesy of www.koloskov.com)

Tanto per rifarvi un po’ gli occhi, se siete interessati all’argomento, vi consiglio di dare uno sguardo al sito della Phase One, una delle aziende leader nel settore dei dorsi digitali per macchine medio-formato. In commercio, però, esistono altre alternative un po’ più a “buon mercato” (si fa per dire) come il modello Aptus II della Leaf. In ogni caso, per gli appassionati di fotografia digitale in MF, che non manifestino specifiche esigenze professionali, il dorso digitale non costituisce sicuramente la scelta più versatile e oculata da fare. Ne riparleremo.

A presto, ALT

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