Auguri fotografici… in stile “rondinelliano”. Buon Natale!
Tra poveri si aiutavano
di Antonio Lo Torto

Il “frontone” all’ingresso delle case dell’Umanitaria di via Solari, a Milano (fonte: Internet, foto di Paolo Mazzo)
Sono diversi giorni che sto riflettendo su questa cosa. Gli impegni pressantissimi di questi ultimi tempi, purtroppo, non mi lasciano neppure un attimo per dedicarmi (come dovrei) agli amici di clubfotografia.com. Per fortuna che San Nando Rondinelli pensa a tutti noi… altrimenti come faremmo?! Voglio raccontarvi una storia, che poco ha a che vedere con la fotografia, ma che in periodi come questi, ahinoi, risulta più che mai attuale.
Chissà perché una volta eravamo tutti più buoni? Avevamo meno grilli per la testa di quanti ne abbiamo oggi? Non esisteva la televisione e la diffusione globale dei modelli di consumo da imitare e delle “stronzate da avere per forza altrimenti come si può vivere senza l’ultimo iphone?!” era davvero molto limitata rispetto al presente (è lo scotto che siamo costretti a pagare al progresso?).
Lungi da me l’idea d’imbarcarmi in un sermone paternalistico-clericale, abbiamo già chi ci pensa, l’ho detto tante volte (vero Nando?!), ma dato che, ultimamente, discorrere di aneddoti e fatterelli del passato sembra diventato l’argomento principale della nostra pagina di Facebook, concedete un po’ di spazio anche al sottoscritto… per favore. Inoltre, dal momento che chi scrive sulle pagine di questo blog ha praticamente un decimo degli anni di chi si smazza il contatto diretto con il “pubblico” sul social network (come faremmo senza San Nando?! Non smetteremo mai di ringraziarti…), quanto riportato è soltanto per “sentito dire” e non per esperienza diretta.
NOTA: nessuno conosce l’età del Rondinelli, ma si narra dei suoi rapporti diretti con influenti personaggi del passato: Mazzini, Armand-Jean du Plessis de Richelieu, Tommaso d’Aquino e, addirittura, la regina Cleopatra… mah?! Leggende metropolitane?! Comunque è accertato che costoro trascorressero le ferie sul litorale versiliano, per cui…
Data la solita valanga di futili premesse, veniamo a noi e a quanto raccontatomi da un signore sull’uscio di una modesta abitazione in un quartiere molto popolare della mia città, Milano. Sebbene si tratti di un arzillo ultraottantenne in pensione, Carlo Brioschi, ex-custode proprio dell’edificio dov’è nato e ancora oggi vive, cerca di dare una mano a sua figlia Rosa, che è vedova con due bambini in età scolare e da sola non ce la fa. Basta guardarlo un attimo in volto ed è facile scorgervi l’archetipo del “portinaio di una volta”: milanese, padre straccivendolo e mamma lavandaia. Uno che a suo modo ha fatto perfino un po’ di “strada”…
Carlo mi raccontava che quando l’era solo un fiolét, in quelle stesse case tirate su grazie alla Società Umanitaria di Moisè Loria, le famiglie di operai che costituivano la struttura sociale portante di tutta quella zona, nel perfetto spirito filantropico del grande benefattore, davano vita ad una serie di iniziative ed attività comuni che andavano dal circolo alla compagnia filodrammatica, dallo spaccio in cui si vendevano i prodotti degli orticelli circostanti, al complesso dell’orchestrina che andava a suonare nelle osterie e nei cortili dei caseggiati popolari. (Bisogna ricordare che dalla fine dell’800 a tutto il primo dopoguerra, proprio in quest’area sorsero alcune delle maggiori fabbriche italiane della seconda rivoluzione industriale. Quelle che trasformarono Milano dal paesotto di provincia che era alla capitale economica che è diventata successivamente: Riva-Calzoni, CGE, Soc. Lombarda Prodotti Chimici e, in testa a tutte, l’Ansaldo).

Assegnazione dei lotti abitativi in una foto dell’epoca (courtesy of Parrocchia di Santa Maria del Rosario, via Solari 22, Milano)
Come si legge in uno scritto dello stesso Loria, all’Umanitaria premeva che i quartieri sapessero esprimere quella cultura dell’abitare che non avrebbe dovuto esaurirsi sul fronte privato, ma che invece si avvalorasse in un orizzonte collettivo di convivenza sociale. Tutti gli inquilini, infatti, sebbene poverissimi, si autotassavano per pagare il medico che al bisogno visitava i malati. Alcune mamme badavano ai bambini del rione di cui i genitori, occupati negli stabilimenti, non potevano prendersi cura nei giorni feriali. Erano circa un migliaio di famiglie e, tolte le poche che festeggiavano in parrocchia, a Carnevale e all’ultimo dell’anno diventavano una sola: chi preparava i tortelli, chi la busecca, chi il pan de’ mort e, a sera, tutte insieme affollavano a turno il salone comune per mangiare e ballare in allegria.
Il vasto spazio interno all’isolato era spartito da cancellate che, dopo la Rivoluzione d’Ottobre del 1917, si aprirono per fare entrare un carro con i cavalli che raccoglieva indumenti, scarpe e qualche soldino: una sorta di gara di solidarietà per gli “affamati del Volga”…
I carri provenienti dalla Richard Ginori, sulla vicina Ripa Ticinese, scaricavano nel mezzo della via Solari. Tra i cocci, i ragazzi delle case popolari, armati di bastone, andavano a cercare qualcosa da recuperare: una tazzina senza manico, un piatto slabbrato, una brocca ancora intera. D’estate, con gli zoccoli ai piedi, grazie al tacito assenso di qualche muratore “rubavano” nei cantieri un po’ di legna per l’inverno… altri tempi, ma come mi diceva il Brioschi, tra poveri si aiutavano.
Un vecchio, el Barba, trascinava un carretto raffazzonato con due ruote di bicicletta ed un telaio di legno, carico di frutta di scarto comperata sotto banco al Verzee, che lui poi rivendeva a basso prezzo a chi non aveva da mangiare. Quell di gamber, un disoccupato con una certa notorietà nella zona e padre di tre figli, cappello da bersagliere con tanto di fiocco, un cestino con un tovagliolo colmo di gamberi belli, rossi, cotti da sua madre, girava per le osterie a venderli; quell di gamber – cantava – ciappà nel Lamber e cott con saa e erba bonna! (nel Lambro c’erano i gamberi?!?! Erano proprio altri tempi…).
Una volta eravamo tutti più buoni? Non lo so. Sicuramente molto più umani di adesso.
Auguri Carlett. Passa un buon Natale con tutti i tuoi ricordi.
Auguri Nando, brontolone amico mio, ai nipotini e alla cara Rosarita. Auguri Elisabetta (la nostra “inviata speciale” alle mostre fotografiche) che tra breve diventerà mamma. Auguri anche a papà Fulvio, il gigante buono. Auguri Beppe (Baglini), nonostante le tue idee un po’ “troppo di là”… sei un amico caro. Auguri a quello strullo di Massimo (Lombardi), a Cristina, Federico e a Barbara. Auguri alla Elena commercialista e al suo marito ciclista. Auguri a Massimiliano (Belloli) che speriamo abbia imparato ad usare la “priorità di diaframmi”. Auguri alla fotografa Paola “Ebasta” (che questo Natale ti addolcisca un po’… bimba!).
Auguri e buon Natale a tutti voi amici del clubfotografia. Di cuore,
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