Arturo Ghergo. Fotografie 1930-1959. A Roma
di Elisabetta Spinelli
Duecentocinquanta splendidi ritratti in bianco e nero del più famoso fotografo nel panorama della “fotografia di studio” prodotta in Italia tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta. Ghergo è l’unico fotografo, in quegli anni, a percorrere coscientemente e insistentemente la via già tracciata negli Stati Uniti dalla fotografia di moda e di cinema, applicando e reinventando ad uso e gusto della nuova cultura visiva nazionale, i moduli figurativi di una società progredita e sofisticata, in particolare per ciò che riguarda il soggetto femminile, ridefinito in forme e valori espressivi inediti, spesso in netta discontinuità dai canoni estetici auspicati e propagandati dal gusto conservatore dell’epoca.
Arturo Ghergo nasce nel 1901 a Montefano, in provincia di Macerata e si trasferisce a Roma nel 1929. Qui apre uno studio fotografico nella centralissima via Condotti, dove pratica esclusivamente l’arte del ritratto, rigorosamente nel formato 18×24 cm, in cui il controllo sapiente e maniacale della luce e della posa produce vere e proprie “icone”. Gli espedienti retorici sono esclusivamente affidati proprio alla luce, avvolgente, misterica, a volte vagamente simbolica. Il resto lo fa il ritocco manuale, vero e proprio intervento di chirurgia estetica, materialmente eseguito sulla pellicola fotografica e poi dissimulato con ulteriori espedienti pittorici, e sapienza d’alchimista. I fianchi e le braccia si sfinano, i seni si sollevano, la pelle diventa liscia come seta, gli occhi brillano di una luce profonda, soprannaturale (a questo proposito potremmo dire che photoshop non ha inventato niente!).
Nel giro di pochi anni Ghergo si afferma come il ritrattista più ambito della capitale, conteso da divi del cinema, personaggi della politica, della cultura e, soprattutto, dell’alta società, desiderosa di riaffermare, anche per via fotografica, un primato sociale che la nuova fase storica rischiava di mettere in crisi. Inoltre, spesso e volentieri, il fotografo offre il proprio prestigio all’allora nascente industria della moda, dove le modelle portano i nomi altisonanti del “gran mondo”, e sono una giovanissima Marella Caracciolo, non ancora signora Agnelli, Consuelo Crespi, Mary Colonna, Josè del Drago, Irene Galitzine.
Ma è soprattutto il mondo del cinema che affida a Ghergo la rifondazione della propria fotogenia. Negli anni in cui l’Italia imbocca la via dell’autarchia sul fronte cinematografico, le star nostrane, anche grazie al sapiente obiettivo di Ghergo, non fanno rimpiangere quelle d’oltreoceano. Da Isa Miranda a Mariella Lotti, e poi Leda Gloria, Alida Valli, Marina Berti, Assia Noris, Maria Denis, Valentina Cortese, Clara Calamai, Paola Barbara, Amedeo Nazzari, Massimo Girotti… e, nel dopoguerra e fino a tutti gli anni Cinquanta, Sophia Loren, Silvana Pampanini, Gina Lollobrigida, Silvana Mangano, Vittorio Gassman… sono solo i nomi più eclatanti di un catalogo lunghissimo, a cui si aggiunge l’infinita lista di aspiranti star, tutte trasfigurate da Ghergo in sofisticate entità semidivine. La sua formula iconografica gli garantisce una fama e una considerazione praticamente immutata, fino alla morte prematura, nel 1959.
Anche con il mutare delle mode, e con l’introduzione di inedite modalità espressive, sperimentate attraverso il colore, la fotografia pubblicitaria e la pittura, Ghergo rimane infatti fondamentalmente fedele al suo stile, continuando a testimoniare il proprio personale e incrollabile culto della bellezza. Una bellezza non necessariamente reale, ma costruita faticosamente con la luce, artificiosa, sublimata e immaginifica, che sta già nella mente di Ghergo, prima che nella fisionomia del soggetto.
La figura di Arturo Ghergo è certamente quella che meglio incarna la tensione verso quell’ideale di bellezza e di eleganza che nel mondo anglosassone veniva compreso nella nozione di glamour.
Dal 3 aprile al 8 luglio 2012 al Palazzo delle Esposizioni di Roma.
Recent Comments