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Teoria della corretta esposizione – Tempo e diaframma: The Odd Couple | Club Fotografia

Teoria della corretta esposizione – Tempo e diaframma: The Odd Couple

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Nello still-life ravvicinato la corretta esposizione è fondamentale: bianco su bianco è quasi una sfida! Ph.: A. Lo Torto, 2006

di Antonio Lo Torto

Tutto ciò che nel procedimento fotografico ha a che vedere con l’esposizione si misura in valori chiamati stop. Imparando a ragionare e a operare in termini di incrementi di stop, il controllo dell’esposizione diviene più facile. In parole povere, uno stop è sempre un valore relativo in rapporto al doppio o alla metà di un altro valore, cioè: dato un valore, variandolo di uno stop lo si raddoppia o lo si dimezza. Nella prima parte di questo tutorial, abbiamo detto che l’esposizione dipende da tre fattori fondamentali: il tempo di scatto “t”, l’apertura del diaframma “f” e la sensibilità (ISO) impostata sulla fotocamera (oppure della pellicola utilizzata).

1. Il tempo di scatto è normalmente espresso in secondi o frazioni di secondo, con valori progressivi (fotocamere differenti possono avere diversi punti d’inizio e di fine della gamma dei tempi disponibili e, più si va avanti, più sembra che le varie marche facciano a gara tra di loro per far sì che il tempo di scatto più breve sia il più breve possibile… che cosa mai si riuscirà a fotografare in 1/32.000 di secondo lo sanno solo alla Nikon! mah?!?). Comunque sia, tutte le fotocamere SLR, digitali e non, dispongono dei seguenti tempi di scatto: 1, ½, ¼, 1/8, 1/15, 1/30, 1/60, 1/125, 1/250, 1/500, 1/1000 e 1/2000 di secondo. Attenzione: gran parte degli apparecchi fotografici non mostra il valore impostato indicandolo con una frazione, ma lo abbrevia: ad esempio “60” al posto di “1/60”, “125” al posto di “1/125”, ecc. Perciò viene da sé che in fotografia, quando diciamo 125, intendiamo un valore che è minore di 60… facile no?!?. A seconda di come si guarda la sequenza dei numeri nella gamma dei tempi di scatto, ogni numero è sia la metà del tempo di scatto che lo precede, che il doppio di quello che lo segue (circa…). Per esempio: 1/60 è la metà di 1/30, ma è anche il doppio di 1/125 di sec, ecc. Ognuno di questi passaggi vale uno stop: da 1/30 a 1/60 c’è uno stop, così come da 1/60 a 1/125, ecc. Passando da un tempo di 1/60 a uno di 1/1000 di sec. quanti stop di diferenza abbiamo in termini di durata dell’esposizione? Esatto! 4 stop…

Il cambiamento del tempo di scatto (sia in aumento, che in diminuzione) influisce sul modo in cui il soggetto viene registrato dal sensore (o sulla pellicola): più la frazione di tempo è breve – per esempio passando da 1/500 a 1/1000 di sec – più l’immagine sembra essere progressivamente “congelata”; al contrario, passando a un tempo di scatto sempre più lungo – come da 1/15 a 1/8 – il movimento verrà registrato in modo sempre meno netto e l’immagine tenderà a “confondersi”, generando il cosiddetto “effetto di mosso“.

2.  Anche i valori del diaframma (solitamente riportati sul barilotto dell’obiettivo) variano seguendo una progressione di stop, in raddoppio o in dimezzamento, anche se i numeri usati non sono dei doppi o delle metà. La sequenza standard dei diaframmi è: f/1, f/1.4, f/2, f/2.8, f/4, f/5.6, f/8, f/11, f/16, f/22 e f/32[1]. Ogni numero è indicativo della dimensione dell’apertura dell’obiettivo attraverso cui passa la luce e, procedendo per valori crescenti, ogni diaframma consente il passaggio di metà della luce rispetto al precedente e del doppio rispetto al seguente. Ad esempio: f/11 fa passare metà della luce rispetto a f/8 (uno stop in più) e il doppio rispetto a f/16 (uno stop in meno)… anche in questo caso, valori maggiori indicano quantità inferiori, perché?! Perché in realtà anche i numeri che indicano i diaframmi sono delle frazioni, anche se non vengono indicati come tali. Di conseguenza, maggiore è il numero, minore è il diametro dell’apertura del diaframma; così f/2 è una grande apertura che fa passare molta più luce di f/32 e sostiuendo 1 a f il discorso torna: ½ è molto più grande di 1/32… logico, no?! “Aprire il diaframma” vuol dire aumentarne il diametro, ossia aumentare la quantità di luce che raggiunge il sensore (o la pellicola); “chiudere il diaframma” l’esatto contrario.

Il rapporto di reciprocità e… il suo difetto.

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Come si capisce dal titolo, tempo di scatto e apertura del diaframma sono una specie di “strana coppia”. Per entrambi si ragiona in termini di stop, secondo la medesima progressione di doppio e metà, mentre il rapporto che li lega è detto di reciprocità: dopo aver stabilito la quantità di luce necessaria ad una corretta esposizione, o il tempo, o il diaframma possono venire modificati a patto che l’altro elemento del rapporto venga a sua volta modificato. Ragionando in termini di luce che effettivamente raggiunge il sensore, il cambiamento di uno stop nel tempo di scatto equivale ad un pari cambiamento nel valore di apertura del diaframma, ma in senso opposto: se raddoppio il tempo di scatto devo dimezzare l’apertura del diaframma e viceversa (per guadanare 100 euro potete trovare un lavoro dove vi pagano 20 euro all’ora e lavorare 5 ore, oppure un’altro dove ve ne danno 25 e lavorare 4 ore: il guadagno finale è lo stesso… lo sbattimento no, però! vabbè, non ho azzeccato l’esempio). Dopo aver stabilitò una determinata esposizione si è liberi di variarne i parametri e scegliere un diverso diaframma e tempo di scatto pur mantenendo la stessa esposizione, ad esempio: supponente che 1/8 di sec. a f/11 sia l’esposizione corretta; portando a ¼ di sec. il tempo (aumento al doppio della durata: +1 stop) devo chiudere il diaframma a f/16 (devo far entrare metà della luce: -1 stop). Per cui: una volta stabilita l’esposizione corretta, potrete scegliere qualsiasi diaframma o tempo desideriate, operando ovviamente i reciproci aggiustamenti… facile, no?! E invece no! Ti pareva…. Ma perché mi dice ciò?! vi domanderete voialtri. Ve lo spiego subito.

Avvertenza: chi non è interessato alla fotografia tradizionale con supporto chimico può bellamente saltare a piè pari le righe finali di questo articolo; i nostalgici, invece, sono invitati a seguirmi fino alla fine.

Abbiamo detto che più o meno tutte le coppie tempo/diaframma sono in grado di fornire una determinata esposizione e sono quindi in relazione di reciprocità. Nella fotografia digitale questa legge non subisce alcun tipo di eccezione, ma fino a qualche anno fa, quando ancora si usava la pellicola, continuando a formare tutte le coppie tempo/diaframma equivalenti e arrivando ad avere un diaframma molto chiuso ed un tempo molto lento si incappava in un problema causato dalla reazione degli elementi sensibili dell’emulsione. Considerando solamente le pellicole a colori (che erano quelle più soggette a questo problema), la diversa risposta alla luce per ogni livello di materiale fotosensibile dovuta ad un tempo di esposizione lungo (oltre ad un secondo, di solito) produceva “spiacevoli” dominanti di colore correggibili soltanto attraverso l’utilizzo di appositi filtri. Questo “limite chimico” all’esposizione della pellicola era detto difetto di reciprocità[2].

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Il difetto di reciprocità: stesso tramonto, colori diversi – Fujichrome Provia – A. Lo Torto, 2000

Ho imparato da solo, tanti anni fa, in che cosa consistesse questo problema e la foto qui accanto ne è la dimostrazione: il tramonto a sinistra è stata scattato a f/5.6 con un tempo di ½ secondo, quello a destra – lo stesso tramonto! – a  f/11 in 2 secondi di esposizione… notate i colori del cielo (ricordo che un notissimo critico fotografico, oggi a capo di una delle più prestigose banche fotografiche italiane, di cui non farò il nome, guardò esterrefatto le immagini non riuscendo a spiegarsi il fenomeno… lasciamo stare, va’).


[1] [non tutti gli obiettivi riportano tutti questi numeri; inoltre, alcuni obiettivi per formati superiori al 35mm ne hanno altri in più]

[2][A chi volesse approfondire l’argomento da un punto di vista più tecnico, consiglio l’ottimo articolo su Nadir Magazine: http://www.nadir.it/tecnica/DIFETTO_RECIPROC/dif-recipr.htm]

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