Teoria della corretta esposizione: “il triangolo magico della fotografia”… e 3 metafore per capire come funziona

foto n.1 (Le immagini che accompagnano questo articolo sono tratte dalla mostra del 2004 "Il glicine nelle architetture milanesi" di A. Lo Torto)
Recentemente mi è stato chiesto di tenere un ciclo di lezioni di Tecnica della Fotografia in una scuola per aspiranti fotografi. Data la vastità dell’argomento propostomi, devo ammettere di essere stato preso un po’ alla sprovvista e, essendomi ritrovato dall’altra “parte della barricata” poche volte nella vita, la paura di fare cilecca si è angosciosamente impossessata di me… che gli racconto adesso? e se questi poi si rompono le scatole e cominciano a guardare per aria? peggio: se non capiscono quello che sto dicendo?! e, soprattutto, da dove incomincio?!?
L’esigenza di dover stendere un programma che seguisse un filo logico si è resa subito necessaria, congiuntamente al desiderio di rintracciare quel particolare “argomento unificante” che mi permettesse di iniziare il discorso e a cui sarei potuto tornare in ogni momento senza timore di cadere nel banale o di sbagliare strada… una sorta di Santo Graal della spiegazione fotografica! Da dove potevo partire? Dalla storia della fotografia? Raccontare a degli adolescenti sprovveduti le scoperte di un chimico dell’800? No, l’avrebbero trovato troppo noioso. Potevo incominciare dalla fine, come fanno in tanti: dall’ultima fotocamera digitale uscita ieri nei negozi. No, per carità. Non è proprio nel mio stile: se io non capisco come funzionano le cose, mi blocco e non vado avanti fino a che tutto non mi è chiaro. E ho sempre pensato che fosse così per tutti… probabilmente mi sbaglierò, ma non posso andare contro quelle poche certezze che mi sono creato nella vita. E allora?
Come sempre si fa (o si dovrebbe fare) in questi casi, ho invocato la saggezza degli Antichi… e consultando ponderosi tomi di epoche passate ho trovato la mia “Arca Perduta”: l’esposizione! Certo, la teoria dell’esposizione è sicuramente l’unico assunto in grado di garantirci la coerenza necessaria quando vogliamo spiegare la tecnica della fotografia a qualcuno che poco ancora ne sa, o ne capisce: come funziona una macchina fotografica? perché se apro il diaframma tanto così, non devo esporre il mio sensore alla luce più di così? perché, chiudendolo un po’, posso esporre per un tempo più lungo e la mia foto “viene uguale”? ecc. Così, studiando su antichi papiri del tempo che fu, ho trovato lui, il triangolo magico di tutti i fotografi!
Ok, ora la smetto di dire stronzate. E’ stato consultando il volume di Bryan Peterson, Understanding Exposure – che raccomando a chiunque sappia un po’ di inglese e che si interessi di fotografia – che ho capito come si possa uscire dalla modalità automatica e spiegare agli altri come farlo . Nel suo libro, l’autore parla dei tre elementi fondamentali dell’esposizione e li definisce “il triangolo di esposizione” (che noi abbiamo riprodotto qui accanto in stile massonico-folkloristico…:-): ciascuno dei vertici (sensibilità, tempo di scatto e apertura del diaframma) si muove in base alla quantità di luce che investe il sensore e da come questa interagisce con la meccanica e l’elettronica della fotocamera. L’intersezione di questi tre elementi determina il risultato finale: l’immagine, il triangolo. Importantissimo: muovendo soltanto uno dei vertici, variando uno dei parametri, muteremo l’intera struttura del triangolo, condizionando l’esito della nostra fotografia.
Le 3 metafore
Per esprimere meglio il concetto, Bryan descrive la relazione tra questi elementi servendosi di alcune metafore. A scopo puramente illustrativo, ovviamente.
1. La finestra. Immaginate che la vostra fotocamera sia come una finestra con due scuri. L’apertura massima del diaframma equivale alle dimensioni totali della finestra. Più gli scuri sono aperti, più luce passa attraverso i vetri della finestra e la stanza è più illuminata. Il tempo di scatto corrisponde alla velocità con cui voi aprite e chiudete gli scuri: quanto più tempo ci mettete per farlo, tanta più luce entrerà dalla finestra. Ora, supponete di trovarvi dentro la stanza e di indossare un paio di occhiali da sole. I vostri occhi, grazie agli occhiali da sole, risulteranno meno sensibili alla luce che passa attraverso i vetri della finestra (un po’ come se aveste impostato una bassa sensibilità ISO sulla fotocamera). Per aumentare la quantità di luce complessiva all’interno della casa, avete a disposizione un po’ di opzioni differenti: potete chiudere gli scuri molto lentamente (e aumentare di conseguenza il tempo di esposizione alla luce dell’interno della stanza); potete spalancare di più le ante, in modo da esporre ai raggi del sole una maggior quantità di finestra; oppure potete togliervi gli occhiali da sole, rendendo i vostri occhi più sensibili alla luce (cioè, aumentando la sensibilità ISO impostata sulla fotocamera). Mi sembra un esempio carino…
2. L’abbronzatura. L’esposizione è un po’ come prendere il sole… La sensibilità ISO corrisponde al vostro tipo di pelle: una pelle molto chiara, facile alle scottature, si dimostra molto sensibile ai raggi del sole (come una fotocamera impostata a 1600 ISO); una “pellaccia” da marinaio, scura e riarsa, equivale invece a un basso valore ISO. Il tempo di scatto è la durata di esposizione ai raggi: quanto più state sotto l’ombrellone, tanto meno vi abbronzate. E viceversa (ovviamente, il rischio di scottarsi, di “sovraesporsi”, è maggiore). E il coppertone? La crema solare sarà il nostro diaframma (curioso…): una crema ad alta protezione (che ne so… 50?!) fungerà da diaframma molto chiuso (f/22, ad esempio), una cremina “finta” da diaframma aperto (f/3.5). Con una protezione solare elevata, anche chi è bianco come una mozzarella potrà stare più tempo al sole senza correre il rischio di diventare un’aragosta… che vuol dire che quanto più chiudiamo il nostro diaframma e quanto più è alta la sensibilità ISO impostata, tanto più a lungo dobbiamo esporre il nostro sensore per ottenere una foto illuminata in maniera decente. Anche questo mi sembra un bell’esempietto.
3. La canna dell’acqua. L’ultima metafora riguarda la canna dell’acqua con cui innaffiamo il giardino: il diametro del tubo corrisponde all’apertura del diaframma, la durata dell’innaffiatura al tempo di scatto e la pressione dell’acqua che sgorga dalla canna alla sensibilità ISO. Quanto più grosso sarà il tubo e quanto più tempo dedicheremo ad innaffiare il prato, tanto meno forte dovrà essere la pressione dell’acqua che ci occorrerà per ottenere il medesimo risultato…
Padroneggiare l’esposizione come si deve richiede molto esperienza, pratica e tanto occhio. Anche i fotografi più navigati, spesso e sovente, devono fare i conti con situazioni nuove e metodi di affrontare i problemi mai provati prima. Tenete sempre a mente che cambiare uno degli elementi chiave ha effetto non solo sull’esposizione finale, ma anche su altri parametri: un diaframma più aperto significa una profondità di campo minore, un valore ISO superiore comporta un disturbo maggiore e un tempo di scatto più breve o più lungo influirà sulla “cattura del movimento” o sul mosso finale. Leggetevi le “puntate precedenti” sulla teoria dell’esposizione più corretta. Vi sarà molto utile. Garantito. ALT
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