Professione fotoreporter: Michael Yamashita, “cogliere lo spirito”
di Antonio Lo Torto
Michael Yamashita è nato a San Francisco ed è cresciuto a Montclair, nel New Jersey, nell’area suburbana della metropoli newyorkese. Ho avuto la fortuna di conoscerlo qualche anno fa, in occasione di una riunione plenaria dei Professional Photographers of America, a New York City. L’ho ricontattato di recente e si è dimostrato affabile e disponibile proprio come me lo ricordavo. Parlando del più e del meno, gli ho domandato se fosse incline a farsi “intervistare” ed egli ha accettato di buon grado, mettendo a nostra disposizione anche qualche scatto inedito tratto dal suo immenso archivio. Quarant’anni di professione non sono una bazzecola…
Mike Yamashita è un fotoreporter scrupoloso e instancabile che si avvale di un metodo unico: prima di cominciare a scattare foto per un reportage, fa molti “compiti a casa”. “Sono pagato per essere fortunato – esordisce – e ciò significa costruirsi la propria fortuna: trovarsi nella posizione giusta, di fronte al soggetto giusto, al tempo giusto e con la giusta luce. Si tratta di trovarsi lì quando qualcosa sta accadendo. Allora, ti ritrovi a studiare la situazione e poi torni sul posto quando c’è qualche attività da fotografare. Questo non succede ogni giorno ed è, appunto, il lato fortunato della faccenda. Quando si creano le condizioni favorevoli – continua – ti concentri sul soggetto per tutto il tempo che occorre ad ottenere quella bella foto che merita di essere pubblicata“.
Pur non avendo frequentato alcun corso di fotografia, è riuscito a trasformare quello che inizialmente era soltanto un hobby in una sfolgorante carriera che combina la passione per l’obiettivo e per i viaggi. “Sono totalmente autodidatta – confessa. Comprai una macchina fotografica per conservare il ricordo dei luoghi che visitavo, non pensando di certo che un giorno sarei diventato un professionista. Ma poi mi trovai coinvolto sempre più seriamente.”
Americano, ma di genitori giapponesi, parla perfettamente la sua lingua d’origine. Cominciò a lavorare per Far East Traveler, una piccola rivista di Tokyo, che lo inviò nelle Filippine, a Singapore e in Thailandia. “L’Asia era un luogo di grandi possibilità intorno alla metà degli anni ’70, ed io ebbi la fortuna di trovarmi nel posto giusto al momento giusto.”
Per lavoro è uno che viaggia molto (è reporter “fisso” di National Geographic dal 1979), ma spesso collabora anche con alcune delle più prestigiose scuole di fotografia degli Stati Uniti.
Parlando proprio di questa sua attività di “insegnante”, mi ha colpito una sua affermazione: “Durante i miei workshops trovo che gli studenti tendano a far scattare l’otturatore solo una o due volte e poi passino ad un altro soggetto. A volte – ammette – la foto migliore la fai subito, ma quello che cerco d’insegnare io è una sorta di processo visivo“. E per illustrarmi questo concetto mi ha confessato di scattare non meno di 36 pose (retaggio del tempo che fu della pellicola…) su un unico soggetto – poniamo un contadino intento al lavoro mattutino nei campi. Mentre gli allievi osservano, Yamashita di solito si sposta e continua a fotografare man mano che la situazione si sviluppa. In aula, poi, mostra la sequenza dei risultati ottenuti.
“Lo scopo dei miei primi scatti è capire dove piazzarmi per avere la luce migliore, lo sfondo giusto e la posizione migliore in cui riprendere il soggetto. In questo modo mi avvicino a quello che vede l’occhio della mia mente: cerco di crearmi un’idea di ciò che voglio ricavare dagli elementi che sto osservando e provo a concentrarli tutti nel posto giusto al momento giusto.”
Esaminando le foto dei suoi allievi dopo il primo giorno di esercitazione dice di trovarle “abbastanza promettenti”, ma il suo scopo è quello d’incoraggiarli a dare il meglio di loro stessi sempre di più. Vorrei poter fare lo stesso anch’io, a volte…
Riassumiamo per punti alcuni ulteriori consigli che il grande Michael Yamashita ha voluto dare a tutti noi di clubfotografia.com:
- Spesso è più facile fotografare le persone quando non sono preparate. Preferisco non controllare la situazione. Me ne sto lì, mi metto nella condizione di sfruttare la luce migliore e “reagisco” quando succede qualcosa, cercando di coprire l’evento da angolazioni diverse.
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Le migliori foto di paesaggio includono colori intensi, motivi grafici, composizioni gradevoli, profili, trame e, qualche volta, anche il movimento. Bisogna sempre chiedersi che cosa rende questa scena attraente alla vista? e poi cercare di mettere quegli elementi sulla foto che si vuole scattare.
- Quando trovate un punto di vista perfetto, con la luce ideale, aspettate che qualcosa accada – che qualcuno entri nella scena ad esempio – e aggiungete l’elemento umano.
- Se fotografate in controluce, mettete in primo piano un elemento visivo “forte” – qualcosa che l’osservatore possa immediatamente riconoscere. Sfruttate le silhouettes nel controluce brillante.
- Portatevi dietro soltanto gli obiettivi che usate più spesso. Nel 90% dei casi io ne uso solo due (per la cronaca: un 17-35 e un 70-200 di Canon, nda). Gli altri li lascio in macchina o in albergo fino a quando non ne ho davvero bisogno.
Il lavoro che ha svolto Mike in tutti questi anni è sicuramente sotto gli occhi di tutti. Molte delle sue immagini costituiscono delle vere e proprie icone del fotogiornalismo e tutti i premi e i riconoscimenti di cui è stato insignito in quarant’anni di carriera ne sono dimostrazione lampante.
Per dovere di cronaca illustriamo quest’articolo con alcune delle sue immagini più famose, tratte da reportages di successo e da altrettante raccolte editoriali pubblicate nel corso del tempo.
Non solo, le foto n.4 e n.5 sono un gentile omaggio dello stesso Yamashita che ha voluto così “premiare” gli amici di clubfotografia.com con quest’inedita strenna natalizia. Della prima Michael spiega: “A Hokkaido, in Giappone, ho voluto scattare questa foto avvalendomi di un tele da 200mm per rappresentare il soggetto su diversi livelli: il linguaggio del corpo della donna esprime vecchiaia e ottimismo e lo sfondo descrive la tradizionale architettura del luogo. L’abbigliamento e la neve sottolineano l’asprezza dell’inverno.”
Riguardo invece alla n.5 ci dice: “La nube tossica degli incendi oscura il sole a mezzogiorno nell’isola di Sumatra – è tratta da un servizio del 1998 che descriveva l’incredibile serie d’incendi che colpì l’Indonesia in quel periodo (nda) – Un grandangolo non avrebbe riprodotto il “senso” di questa situazione, mentre un teleobiettivo molto lungo avrebbe ‘compresso’ la nube fino a renderla impenetrabile. Pertanto, dalla distanza a cui mi trovavo, lo zoom regolato alla focale di 135mm si è dimostrata la soluzione più ragionevole.”
Yamashita ha pubblicato nove libri fotografici, nati nella maggior parte dei casi come articoli per National Geographic: The Great Wall From Beginning to End; [amazon-product region=”it” text=”New York tra cielo e terra (Paesi e paesaggi)” tracking_id=”wwwclubfotogr-21″ type=”text”]8854017183[/amazon-product]; Zheng He: sulle tracce degli epici viaggi del più grande esploratore cinese (edito in Italia da White Star); Japan: The Soul of a Nation; [amazon-product region=”it” text=”Marco Polo ” tracking_id=”wwwclubfotogr-21″ type=”text”]885440005X[/amazon-product](edito in Italia da White Star); Mekong: A Journey on the Mother of Waters; In the Japanese Garden; United States Merchant Marine Academy; Lakes Peaks and Prairies: Discovering the United States-Canadian Border.
Per concludere, quando ha saputo che stavo scrivendo un articolo su come fotografare la pioggia, Mike mi ha confessato di non essere “un fotografo da cieli blu, ma mi piace lavorare sotto la pioggia. Nella luce soffice e piatta del tempo uggioso i colori risaltano di più e lo spirito delle foto è più intenso“… un pensiero molto Zen, non c’è che dire!
Per noi è stato un onore ospitare questa sua intervista. Per chi fosse interessato ad approfondire certe tematiche del lavoro del fotoreporter nippo-americano vi consigliamo di consultare direttamente il suo sito: http://www.michaelyamashita.com/.
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