NAN GOLDIN “THE BALLAD OF SEXUAL DEPENDENCY”. Alla Triennale di Milano fino al 26 novembre
di Elisabetta Spinelli
Un diario visivo autobiografico e universale sulla fragilità degli esseri umani, che racconta di vita, sesso, trasgressione, droga, amicizia, solitudine. Un work in progress avviato agli inizi degli anni Ottanta, riconosciuto tra i capolavori della storia della fotografia.
Il MuFoCo, Museo di Fotografia Contemporanea, inaugura una mostra straordinaria all’interno de La Triennale: The Ballad of Sexual Dependency, il lavoro monumentale di Nan Goldin.
L’opera, costituita da 700 fotografie montate in una sequenza che dura 45 minuti, con un sottofondo musicale che spazia dalla musica punk, alla pop fino all’opera, rappresenta uno dei capolavori dell’arte americana dagli anni ‘80.
La Goldin (Washington, 1953) nel 1985 inizia a montare una serie di ritratti, prevalentemente notturni, intimi e profondamente reali, in una sequenza che diventa uno zibaldone sulla sua vita. Ritratti di una comunità di amici, non di emarginati – termine con il quale sono stati spesso etichettati i suoi soggetti – ma di donne e uomini che facevano parte dello stesso gruppo, e che vivevano lo stesso stile di vita.
«La Ballata è un documento di quello che ho vissuto. La macchina fotografica non era altro che un proseguimento della mia mano. Scattavo per mostrare esattamente quello che c’era. Non spostavo neppure una bottiglia di birra, sarebbe stato un peccato»,racconta la fotografa in un’intervista durante la sua mostra al MoMA.
La Ballata ha infatti girato un po’ tutto il mondo: partita dai cinema e club underground americani, fino ad arrivare in Europa e in Giappone. E i luoghi rappresentati, le case e camere da letto degli amici, i locali nascosti, i bagni vissuti, e le persone ritratte in costante conflitto relazionale – legati dal sesso, da un’intimità fortissima e viscerale, e da uno stile di vita illuminato dai suoi flash – venivano immortalati dalla Goldin tra Boston, Chicago, New York, Napoli, Londra e Berlino dalla fine degi anni ‘70.
La tematica, questa “tribù” impressa in un unicum di immagini, è ciò che interessa a Nan Goldin, che ha iniziato a fotografare per necessità documentativa e per onestà nei confronti di un bisogno suo e degli altri che le stavano intorno, e non per la fotografia in sé, di cui a volte ha anche ignorato le regole, scoprendo la potenzialità della luce, ad esempio, tardi, negli anni ’90. Dal 1989 infatti i suoi soggetti escono da quella claustrofobia del luogo chiuso e limitato, scoprendo la luce naturale. Un’evoluzione di cui godremo, a breve, anche noi.
Lo sguardo di Nan Goldin abbraccia ogni momento della propria quotidianità e del proprio vissuto. L’artista fotografa se stessa e le travagliate vicende dei suoi compagni, nella downtown di Boston, New York, Londra, Berlino, tra gli anni ’70 e ’80. La sua è una fotografia istintiva, incurante della bella forma, che va oltre l’apparenza, verso la profonda intensità delle situazioni, senza mediazione alcuna. Nella totale coincidenza del percorso artistico con le vicende di una biografia sofferta e affascinante, Nan Goldin ha indubbiamente creato un genere: studiate, utilizzate e imitate in tutto il mondo, le sue immagini sono un modello rimasto intatto fino a oggi.
L’installazione è costituita da una scenografia ad anfiteatro che accoglie il pubblico e consente la visione dell’opera, un video che viene proiettato ogni ora. Completano l’esposizione materiali grafici e alcuni manifesti originali, utilizzati per le prime performance di Nan Goldin nei pub newyorkesi.
Il video, della durata di 42 minuti, viene proiettato nei seguenti orari:
10.40 / 11.25 / 12.10 / 12.55 /13.40 /14.25 / 15.10 / 15.55 /16.40 / 17.25 /18.10 /18.55 / 19.40
Palazzo della Triennale, Viale Alemagna,6 – 20121 Milano. Fino al 26 novembre
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