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Il Sistema Zonale nell’era del Digitale | Club Fotografia

Il Sistema Zonale nell’era del Digitale

prima parte

Un'icona del grande Ansel Adams: la luna tra i Canyon dello Yosemite, 1941 (courtesy of springfieldmuseums.org)

Il primo secolo di fotografia ci ha rivelato un mondo monocromatico. Benché le immagini potessero venir tinte artificiosamente con tecniche di camera oscura (con pigmenti all’anilina, ad esempio) i pionieri dello scatto non avevano altra alternativa che non fosse il bianco e nero. Nei primi anni del XX secolo cominciarono i primi esperimenti in questa direzione, ma soltanto con l’introduzione della pellicola a colori Kodachrome, nel 1936, le cose mutarono radicalmente. Oggi, ovunque si rivolga lo sguardo, la regola è il colore (qualsiasi apparecchio digitale produce immagini a colori come settaggio di default), mentre il bianco e nero rimane una applicazione piuttosto d’élite, per gli appassionati di fotografia e i virtuosi dell’obiettivo.

In passato abbiamo affrontato l’argomento bianco e nero esponendo una serie di suggerimenti, rivolti essenzialmente alla categoria dei principianti, utili per approcciare alla fotografia monocromatica nella maniera più semplice possibile. Da oggi riprenderemo questo tema trattandolo un po’ più seriamente, grazie all’esposizione di uno dei cardini della ripresa in b/n: il Sistema Zonale. La “Bibbia” di questa tecnica sono ovviamente i ponderosi testi di Ansel Adams a cui, se veramente appassionati, consiglio vivamente di fare riferimento. Tutti e tre i volumi sono disponibili, in italiano, sul sito di amazon.it: [amazon-product region=”it” text=”Il Negativo” tracking_id=”wwwclubfotogr-21″ type=”text”]8808043428[/amazon-product], [amazon-product region=”it” text=”La Stampa ” tracking_id=”wwwclubfotogr-21″ type=”text”]8808058069[/amazon-product]e [amazon-product region=”it” text=”La Fotocamera” tracking_id=”wwwclubfotogr-21″ type=”text”]8808156907[/amazon-product].

Introduzione

La seduzione esercitata dal bianco e nero è essenzialmente il risultato di quelli che potremmo definire i suoi “ingredienti di base”: luce ed ombra. Tutte le “distrazioni” provocate dal colore vengono rimosse, permettendo ai fotografi di mettere in evidenza la figura (linee e sagoma), la struttura, la forma e la trama di un soggetto. Le immagini in b/n hanno una qualità classica e senza tempo che quelle a colori stentano a raggiungere. E’ innegabile. I paesaggi, poi, traggono un giovamento particolare dal bianco e nero. Privati del colore, infatti, prevalgono i giochi di luce e le emozioni generate nello spettatore dalla sottile interazione fra cielo e terra.

Oltre a motivazioni di natura prettamente artistica, sussistono anche ottime ragioni tecniche per scattare in b/n. La mancanza del colore, ovviamente, consente di non doversi preoccupare della corretta equilibratura cromatica. Inoltre, grazie a Photoshop, è possibile ricreare molti degli effetti che si realizzavano con le tradizionali tecniche di camera oscura: schermature, bruciature, trattamenti all’infrarosso e solarizzazioni (effetto Sabattier).

Un'altra splendida immagine ottenuta da Adams con la tecnica del Sistema Zonale (courtesy of listal.com)

Le problematiche tipiche della fotografia monocromatica sono piuttosto peculiari. Prima fra tutte la difficoltà di visualizzare il risultato finale al momento dello scatto. A ciò è correlato il fatto che quando un’immagine viene ridotta a tonalità di grigio, alcune aree che osservate a colori appaiono distinte, tendono come a “fondersi” tra loro. Ad esempio, il rosso e il verde scuro, una volta convertiti in b/n, finiscono per sembrare quasi identici (se non ci credete, provate con una bandiera Tricolore e poi mi dite!). Per questo motivo è necessario sviluppare una certa capacità di “prevedere” la scena in bianco e nero, pensando con attenzione al contrasto tra chiari e scuri e come differenti soggetti che presentano colorazioni potenzialmente “fondibili” tra loro possano generare figure ed effetti indesiderati – vi ricordate quando abbiamo detto a proposito delle silhouettes?

Ma è valido anche il contrario. Alcuni soggetti che funzionano male a colori sembrano ottimi una volta convertiti alla monocromia. Ad esempio, il maltempo e la nuvolosità, ripresi a colori, generano quei cieli bianchi e piatti di cui abbiamo già parlato ma, fotografati in b/n, tendono ad accentuare la tenebrosità della scena e consentono di ottenere una gamma dinamica molto più completa e decisamente più sfruttabile in fase di post-produzione.

Per acquisire padronanza nell’uso del b/n, leggete oltre e scoprite come riuscire a vedere il mondo attraverso le tonalità di grigio.

Piccolo excursus: penso che la cosa riuscirà più facile ai lettori di sesso maschile… noi “uomini” siamo molto più portati a guardare le cose nelle loro tonalità di grigio! Le donne le vedono bianche o le vedono nere… senza vie di mezzo! Ma questa è un’altra storia. Perdonate lo sfogo… 😉

Il Sistema Zonale: esposimetro e grigio medio

East Side Manhattan fotografato dall'Empire State Bldg. con la tecnica del sistema zonale, verso la fine degli anni '80 (ph.: A. Lo Torto, 1991)

Il sistema zonale è stato inventato da Ansel Adams e da Fred Archer nel 1939. Oggi, nell’era dei robots, molti ritengono che questa tecnica sia inutile ed obsoleta, ma noi ci permettiamo di dissentire. Mai come di recente mi sono accorto quanto la presenza di solide basi teoriche ed empiriche, in fotografia, sia fondamentale a comprendere meglio il funzionamento delle nuove tecnologie. Un mucchio di gente pensa di essere un grande artista soltanto perché possiede una macchina digitale costosa ed accessoriata. Nulla di più sbagliato. Una super-fotocamera, così come una stupida macchinetta usa e getta, vanno sapute usare… è inutile fare affidamento sui microchips, quando poi facciamo le foto senza neppure togliere il tappo dell’obiettivo! Non so se mi sono spiegato.

Pertanto, “masticare di sistema zonale” può essere ancora molto vantaggioso quando si vuole acquisire padronanza nel visualizzare a priori una scena in bianco e nero. E visualizzazione, nel senso concepito da Adams, significa descrivere la stampa prima ancora di aver fatto click, ma solo dopo aver misurato con la massima attenzione la luminosità della scena. Cioè: concepire nella mente con chiarezza l’immagine voluta, prima ancora di scattare la foto. Ai tempi della camera oscura, questo dava ai fotografi un controllo molto più sistematico sul risultato finale.

Il motto della tecnica escogitata da Adams potrebbe essere riassunto così: esporre per le ombre, sviluppare per le luci. Tuttavia – e chi avrà letto con attenzione quanto abbiamo detto a proposito del range dinamico e della latitudine di posa capirà bene di cosa sto parlando – le fotocamere digitali non perdonano le alte luci: una volta “bruciate” le informazioni contenute nei riflessi, non c’è modo di recuperarle. Ma vediamo brevemente in cosa consiste questo benedetto Sistema Zonale.

Una volta chiaro il concetto di visualizzazione dell’immagine finale – da non confondersi, mi raccomando, con la composizione di una foto! La visualizzazione è una “scelta estetica” perché determina solo l’intonazione della stampa finale; la composizione, invece, è anche una “scelta analitica”, perché definisce il taglio dell’inquadratura… sono due cose diverse – se si punta l’obiettivo su di un’area omogenea, monocromatica e sufficientemente illuminata, l’esposimetro, tarato alla sensibilità ISO impostata, rileva il valore di luminosità riflesso e lo traduce in una coppia tempo/diaframma che, a sua volta, ci restituirà un colore grigio con riflettanza media del 18%. Ciò avviene perché tutti gli esposimetri a luce riflessa montati sulle fotocamere vengono regolati su questo particolare tono di grigio (vedi qui). Pertanto, condizione necessaria all’approccio fotografico con il Sistema Zonale è l’uso di un esposimetro spot, con un angolo di misurazione della luce compreso tra 1 e 5 gradi (quasi tutte le reflex digitali e le compatte di fascia alta ne sono provviste, basta controllare la presenza del “puntino centrale” tra i sistemi di misurazione esposimetrica). Ciò consentirà di rilevare con estrema precisione i valori di luminanza dei più piccoli dettagli del soggetto, anche se si trovano molto vicini tra loro. Gli esposimetri a lettura media non sono invece adeguati per compiere questa operazione; nel caso, meglio far uso di un (costoso!) esposimetro esterno.

Il Sistema Zonale: misurazione della luce e scala zonale

(ph.: A. Lo Torto - New York City, 2003)

Immaginiamo ora di trovarci di fronte ad un’ampia parete monocromatica, illuminata frontalmente, non liscia, ma movimentata da una trama superficiale ben visibile. L’esposimetro montato sulla nostra fotocamera rileva f/8 come diaframma e 1/30 di secondo come tempo di otturazione. Se, scattando ovviamente in b/n, esponiamo il sensore della macchina con questi valori, otteniamo un’immagine dal tono grigio-medio – con la trama della parete perfettamente riprodotta – che identificheremo come corrispondente alla Zona V.

A questo punto, per comodità, manteniamo immutato il tempo di otturazione e modifichiamo la nostra esposizione agendo solo sul diaframma. Ogni stop di f numericamente superiore a f/8 (f/11, f/16, ecc.) produrrà una foto più scura (chiudendo il diaframma facciamo entrare meno luce… logico, no?!), mentre ogni valore inferiore (f/5.6, f/4, ecc.) un’immagine più luminosa. Abbinando ad ogni diaframma una determinata “Zona“ e seguendo la normale numerazione aritmetica sopra riportata, al diaframma f/32 corrisponderà la Zona I, mentre a f/1.4 la Zona X.

Infatti, se si fotografa con questa tecnica, la Zona V corrisponde al nostro tono medio, al 18% di grigio. Ogni Zona sopra o sotto la V corrisponde a uno stop (di diaframma, in questo caso) inferiore o superiore al nostro tono medio… e il Sistema Zonale di Adams prevede, appunto, “dieci Zone”. Ogni Zona rappresenta il raddoppiarsi o il dimezzarsi della luminanza (la luce riflessa sul soggetto misurata in valori EV) o una differenza di f-stop. Collocare un’area in Zone inferiori o superiori numericamente alla Zona V significa, quindi, ottenere un’immagine rispettivamente più scura o più chiara del tono grigio medio.

Sistema Zonale: sapere come usare bene questa tecnica aiuta a "vedere meglio il mondo in bianco e nero..." (elaboraz.: theredeer.it)

Vediamo più in dettaglio il significato pratico di ogni Zona, associando un esempio e indicando il corrispondente valore di esposizione. Inoltre, la foto degli occhi, qui sopra, costituisce un caso di applicazione del Sistema Zonale; infatti riporta sovraimpressi, su dieci aree, i numeri corrispondenti all’intera scala visualizzata. E’ la scansione di un’inquadratura ravvicinata di un cartellone pubblicitario della Kodak, scattata a Times Square, a New York City, in una notte buia e tempestosa di diversi anni fa. La pellicola usata è un’Agfa Scala (l’unica diapositiva in b/n in commercio in quel momento) esposta a 200 ISO e sviluppata a 600. Era un’emulsione a sensibilità variabile. Fantastica.

Valori Bassi

  • Zona 0: è il punto più nero dell’immagine. Anche ad occhio nudo ogni particolare risulta indistinguibile; come quando entriamo in una stanza totalmente buia. Secondo la teoria elaborata da Adams, si ottiene sottoesponendo di 5 diaframmi il valore esposimetrico rilevato sulla superficie monocromatica di cui abbiamo detto sopra (il grigio al 18%, insomma).
  • Zona I: è una leggera tonalità sopra il nero pieno, quasi indistinguibile nell’immagine. L’esempio classico è rappresentato da un drappo di velluto nero. Si ottiene sottoesponendo di 4 diaframmi.
  • Zona II: comprende le parti più scure dell’immagine che hanno però qualche dettaglio distinguibile. Esempio: la corteccia scura d’un tronco d’albero all’ombra. Tre diaframmi in meno per ottenerla.
  • Zona III: quelle aree mediamente scure, però con dettagli ben riconoscibili. Esempio: un prato erboso in ombra. –2 diaframmi.

Valori Medi

  • Zona IV: il più scuro dei valori medi di grigio. Un esempio sono i paesaggi in ombra, oppure i volti delle persone con carnagione normale ripresi all’aperto. –1 diaframma.
  • Zona V: è la nostra Zona di riferimento: grigio Kodak con riflettenza al 18%. Esempio: cielo sereno a nord, carnagioni scure e pietre di tono grigio medio. Esposizione normale (in “automatico” se l’esposimetro della fotocamera è affidabile).
  • Zona VI: il più chiaro dei valori medi di grigio. Esempio: tono della carnagione leggermente abbronzata al sole, ombre sulla neve nei paesaggi soleggiati. Sovraesporre di 1 diaframma.

Valori Alti

  • Zona VII: è l’ultima luce con dettagli sufficientemente distinguibili. Esempio: carnagione molto chiara esposta al sole, la neve illuminata lateralmente. +2 diaframmi.
  • Zona VIII: parte più chiara dell’immagine con tracce di trama debolmente sfumate. Esempio: un drappo di velluto bianco a coste illuminato frontalmente. +3 diaframmi.
  • Zona IX: superficie bianca senza trama superficiale, quasi candida. L’esempio classico è costituito dai riflessi speculari sull’acqua, sul vetro, sui metalli lucidi, ecc. Si ottiene sovraesponendo di 4 diaframmi.
  • Zona X: è il “bianco carta”, uguale al supporto su cui di solito si stampano le foto. Le sorgenti di luce diretta sono un esempio: il sole, le lampade, ecc. Si ottiene sovraesponendo di 5 diaframmi il valore misurato sulla superficie monocromatica utilizzata come parametro di riferimento.

Oggi abbiamo visto come “esporre per le ombre”, la prossima volta vedremo come “sviluppare per le luci”. A presto, ALT

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