I sistemi di puntamento: la “visione indiretta”. Le reflex biottiche.
di Antonio Lo Torto

(1) Sopra: la prima "vera" fotocamera della storia, realizzata dal cognato di Daguerre, monsieur Giroux. Sotto: schema di funzionamento di una reflex "primitiva" (elaboraz. www.theredeer.it)
Le macchine reflex sono state uno dei primi tentavi di costruire una fotocamera in grado di mostrare in anticipo esattamente quello che si sarebbe ottenuto dopo lo scatto. “Il principio su cui si basa la macchina fotografica reflex è più antico della fotografia stessa dal momento che molte camere oscure, fin dal XVII secolo, erano dotate di uno specchio inclinato a 45 gradi per raddrizzare l’immagine (naturalmente la riflessione di uno specchio riporta al loro posto solo i lati superiore e inferiore dell’immagine, le parti a destra e a sinistra rimangono in ogni caso invertite). Anche la prima fotocamera posta in vendita nel 1839, prodotta da Giroux per Daguerre, aveva un sistema simile: lo specchio permetteva un uso più comodo dell’apparecchio, dato che l’immagine raddrizzata era osservabile dall’alto, ma per eseguire la posa doveva essere rimosso e sostituito con il portalastre.” (www.photogallery.it)
NOTA: l’invenzione della tecnica del dagherrotipo è dovuta al francese Daguerre che, appunto, diede compito al cognato Giroux di promuovere la sua idea. Fu quindi proprio il cognato di Daguerre a produrre a Parigi nel 1839, in numero limitato, quella che ora possiamo considerare la “prima” macchina fotografica della storia (vedi immagine n.1).
Dal momento, però, che i tempi erano diversi da quelli odierni (leggi: la scienza dei materiali di metà ‘800 consentiva, al massimo, l’uso di “sofisticati” supporti quali il legno, il rame, il vetro e l’ottone…!), le attrezzature risultavano molto ingombranti, la messa in opera e la posa erano snervanti e, in fin dei conti, sotto la luce del sole era più pratico ripararsi con un panno nero ed osservare l’immagine direttamente sul vetro smerigliato, per lunghi anni a seguire lo specchio scomparve dalla quasi totalità delle macchine fotografiche. Poi, però, ricomparve… Nel 1861 il fotografo inglese Thomas Sutton brevettò la prima vera fotocamera reflex della storia.
NOTA: Thomas Sutton (1819 – 1875) fu uno di quei personaggi geniali e poliedrici che oggi, forse, non esistono più. Fu fotografo, inventore e scrittore. Non mi dilungherò, ma vi basti sapere che il principio su cui si basa la sua invenzione è tuttora valido ed è stato utilizzato da tutte le Single Lens Reflex (SRL) che sono seguite. Fino alle moderne reflex digitali.
TLR (Twin-Lens Reflex): le reflex biottiche (o bioculari)
Allora, lo “stratagemma” del vetro inclinato a 45° fu adottato in alcuni tipi di macchine fotografiche “a lastre” dove il vetro smerigliato, protetto da un cappuccio, serviva come mirino per inquadrare e per mettere a fuoco. Naturalmente per esporre la lastra lo specchio doveva essere sollevato (trovandosi la lastra dietro a quest’ultimo..), dopo aver chiuso l’otturatore e inserito lo chassis carico (vedi immagine n.1).
A un certo punto, allo scopo di rendere più pratico tutto questo procedimento, per evitare, cioè, lo “sbattimento” continuo di sostituire il vetro smerigliato con il portalastre e viceversa, a qualcuno, intorno al 1870, venne la brillante intuizione di realizzare una fotocamera “doppia”, dotata di due scomparti separati e a tenuta di luce, ciascuno con un obiettivo, in cui la parte superiore veniva utilizzata per l’inquadratura e la messa a fuoco e, quella inferiore, per esporre la lastra. Si trattava essenzialmente di apparecchi “da studio”, a soffietto, ma non mancarono le biottiche da “usare a mano libera”, costruite sul principio delle cassette scorrevoli e, proprio quest’ultime, rappresentano il caso più interessante perchè aprirono la strada alla biottica dei nostri giorni.

Alcuni modelli di Yashica TLR di fine anni '50. Nient'altro che una copia nipponica della Rolleiflex (fonte: Internet)
Nell’800 tuttavia questo tipo di macchine non ebbero molto successo – nonostante la pubblicità dell’epoca sostenesse che era possibile controllare l’inquadratura anche a macchina carica e “passeggiare” con la fotocamera già pronta allo scatto, senza dover usare il treppiedi… Ovviamente tutto ciò veniva vanificato dall’ingombro della fotocamera stessa e dalla bassa sensibilità delle lastre, pertanto fu necessario aspettare l’evoluzione tecnologica del primo ‘900 per avere una biottica piccola e veramente maneggevole. Infatti, fra il 1910 ed il 1920 tre fattori accelerarono bruscamante lo sviluppo delle fotocamere: il definitivo affermarsi delle pellicole in rotolo, il perfezionamento della stampa della lamiera di acciaio a freddo e la riduzione delle tolleranze nelle lavorazioni meccaniche. Le conseguenze furono immediate: le macchine diventarono di metallo, più piccole e più leggere, con maggiore autonomia e più precise. Le dimensioni crollarono ad un quarto rispetto a prima e le prestazioni salirono notevolmente (www.photogallery.it).
I moderni apparecchi fotografici reflex bioculari, normalmente di medio formato (6×6 cm), sono appunto caratterizzati dalla presenza di due obiettivi separati, di uguale lunghezza focale, montati uno sopra l’altro su un frontalino mobile per la messa a fuoco (anche se molti modelli economici sono a fuoco fisso). La distanza tra l’obiettivo superiore (utilizzato per la visione del soggetto da fotografare) e lo schermo su cui si riflette l’immagine tramite lo specchio inclinato deve essere la stessa che intercorre tra l’obiettivo inferiore (utilizzato per riprendere il soggetto) e la pellicola (vedi immagine n.2). Lo schermo (in gergo “vetro smerigliato”) ha, per forza di cose, le stesse dimensioni del fotogramma. Per cui, si può mettere a fuoco e inquadrare guardando sul vetro smerigliato, che è protetto dalla luce da un apposito “cappuccio” ripiegabile, e quindi far scattare l’otturatore dell’obiettivo inferiore, praticamente certi che l’immagine sia correttamente a fuoco – questi tipo di sistema di traguardazione viene definito mirino a pozzetto. In ogni caso, i punti di vista diversi dei due obiettivi provocano anche su questo tipo di macchine il famigerato errore di parallasse di cui abbiamo detto la volta scorsa; tanto più evidente, quanto più il soggetto si trova a distanza ravvicinata.
L’obiettivo di visione, posizionato sopra quello di ripresa, ha spesso un’apertura maggiore di quella di quest’ultimo, al fine di restituire un’immagine della massima luminosità (e una profondità di campo ridotta) per facilitare una messa a fuoco più precisa. Alcuni modelli di reflex bioculari prevedono l’intercambiabilità delle ottiche; ma queste, ovviamente, sono a coppie (montate sul pannellino frontale), dovendo entrambi gli obiettivi avere il medesimo angolo di visione. Normalmente, tempo di posa e apertura del diaframma si impostano manualmente. L’uso di un esposimetro esterno diventa quindi obbligatorio.
Vantaggi delle reflex TLR
- Si tratta di macchine fotografiche solitamente solide e compatte (anche se un po’ ingombranti), meccanicamente semplici e, di conseguenza, di massima affidabilità. L’otturatore centrale, di solito, è molto silenzioso.
- E’ possibile controllare la messa a fuoco e l’inquadratura visivamente e a pieno formato anche durante lo scatto.
- Una TLR consente diversi punti di vista creativi molto particolari: appoggiata a terra e puntata verso l’alto, oppure rovesciata sopra la testa con le braccia alzate o, ancora, ad altezza normale ma rovesciata a 90°, sempre potendo controllare l’immagine sul vetro smerigliato.
- Pur con tutti i suoi limiti, questo tipo di fotocamera è stata per molti anni l’apparecchio tuttofare dei professionisti: moda, reportage, matrimoni, ecc.
- Il suddetto errore di parallasse crea difficoltà specialmente fotografando da vicino.
- L’immagine sul vetro smerigliato è sì non rovesciata verticalmente, ma comunque speculare rispetto alla realtà (non essendoci il pentaprisma…)
- Mancanza del controllo visivo della profondità di campo.
- Poca scelta in fatto di ottiche intercambiabili e obbligo di acquisto di obiettivi “in coppia”.
- Mancanza del sistema automatico di misurazione dell’esposizione… un handicap non da poco.
La Rollei
Le case che si sono dedicate alla produzione di questi apparecchi sono svariate: ricordiamo, specialmente, le giapponesi Yashica e Mamya. In ogni caso, la prima e più famosa è sicuramente la tedesca Rollei, fondata da Paul Franke e Reinhold Heidecke, a Braunschweig, nel 1920. La sua storia è scandita da un numero infinito di modelli (per la verità molto simili fra loro…) di fotocamere reflex bioculari e, ancora oggi, conta una nutritissima schiera di appassionati sparsi per il mondo. I suoi “cavalli di battaglia” sono, senz’ombra di dubbio, la granitica Rolleiflex , del 1928, e la SLR Rollei 35, entrata in produzione nel 1966 e di cui si dice siano stati venduti più di 3 milioni di pezzi.
Attualmente, la Minox, altra azienda teutonica del settore (è quella che ha inventato la spy camera, la macchinetta che usavano James Bond e Mata Hari…), ha commercializzato una replica in versione digitale, in scala 1:2, della storica Rolleiflex, denominata DCC ROLLEIFLEX AF 5.0. Sostanzialmente si tratta di un simpatico gadget da 3 milioni di Mpx… nulla di eccezionale.
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