Gli scatti multipli: dal bracketing all’HDRI (prima parte)
prima parte
Il bracketing, o “esposizione a forcella”, è stato a lungo l’àncora di salvezza di moltissimi fotografi. Nell’arco di questi mesi ne abbiamo più volte parlato (trattando di fotografia sulla neve, di controluce e di silhouettes, ad esempio), ma non gli abbiamo mai dedicato più di tanto tempo poiché ritenevamo (a torto) che, data la sua semplicità, si trattasse di una tecnica scontata e acquisita. Probabilmente, per la maggioranza di voi, lo sarà sicuramente, ma gli ultimi sviluppi in fatto di software e di elaborazione delle immagini in HDR ci impongono di approfondire un po’ di più la teoria dei cosiddetti scatti multipli.
Che cos’è il bracketing?

foto n.1: funzione d’impostazione del bracketing automatico sulla Canon EOS 1D MarkII (ph.: A. Lo Torto, 2011)
Gli “scatti a forcella” consistono nel realizzare una serie di fotogrammi (solitamente tre) uno dietro l’altro, identici per composizione e inquadratura, ma con parametri di esposizione differenti. Quasi tutte le fotocamere (digitali e a pellicola) sono in grado di effettuare questa manovra in modo automatico selezionando il cosidetto AEB, o bracketing automatico dell’esposizione: oltre al primo scatto, con il valore di esposizione corretta o compensata, vengono realizzati un fotogramma sottoesposto ed uno sovraesposto in base all’impostazione stabilita. Esempio: dobbiamo fotografare un bel tramonto in controluce, ma non sappiamo se l’esposimetro incorporato ci consentirà di rendere completamente scure le silhouettes delle palme in primo piano, oppure le sottoesporrà a tal punto da rendere tutta la scena veramente troppo buia… che cosa facciamo? Selezioniamo la funzione bracketing automatico affinchè la nostra fotocamera, oltre a scattare la foto con i parametri che il suo esposimetro ritiene corretti, ci permetta di farne altre due in sequenza: la prima a +1 stop (o a +2 stop, o +1/3 stop, ecc.), e la seconda a –1 stop (o a –2 stop, o a –1/3 stop, ecc.). Come risultato avremo un totale di tre immagini: una media, una chiara e una scura (e non sto parlando di birre!). Starà a noi scegliere quella che crediamo migliore.
Ovviamente potremmo effettuare la stessa identica operazione in modalità manuale (senza “vincoli” di stop tra la sotto e la sovraesposizione) : una volta scattata la prima foto, possiamo “aprire di 1 stop” nella successiva e “chiudere di 2” in quella dopo ancora (se non vi fosse ben chiaro il concetto di stop in fotografia, vi consiglio di leggere qui). In ogni caso, manuale o automatico, quando parliamo di bracketing ci riferiamo a quella particolare funzione/operazione che, una volta messa in atto, ci permette di scattare una serie di immagini a raffica dello stesso soggetto, ripreso a livelli esposimetrici differenti.
Ma i tempi cambiano, lo sappiamo, e la vera rivoluzione scoppiata in questi ultimi anni con l’avvento dell’era digitale, oltre ad aver stravolto il modo di fare fotografia in tanti suoi aspetti, ha coinvolto anche il modo in cui è possibile sfruttare le sequenze ottenute con la tecnica del bracketing. Tanto è vero che mentre in passato il nostro compito era soltanto quello di scegliere quella che preferivamo di una serie d’immagini (e la cosa finiva lì) oggi, invece possiamo fare molto di più: con il “trattamento” digitale possiamo infatti combinare diverse fotografie. Ma che cosa vuol dire? Diciamo che in questo caso, “combinare” significa sfruttare le parti migliori di ciascuna immagine, assemblando, ad esempio, le alte luci meglio esposte di una foto scura e le ombre più leggibili degli scatti più chiari. I softwares che vi consentono di compiere questo tipo di operazioni sono facilmente accessibili e i sistemi utilizzati vanno dalla semplice fusione alla HDRI (High Dynamic Range Imaging), più efficace ma anche più complessa.
Allineamento delle sequenze
Alla base di tutte le tecniche che sfruttano gli scatti multipli vi è la necessità di ottenere una serie di immagini allineate. In certi casi, poi, è addirittura indispensabile (quando il tempo è l’unica variabile su cui agiamo tra uno scatto e l’altro, ad esempio). E dato che la cosa meno modificabile del mondo è la geometria di base di un’immagine, nel caso stessimo utilizzando pure uno zoom, dobbiamo fare davvero molta attenzione (nello specifico, se la sequenza dev’essere scattata in un arco di tempo piuttosto lungo, vi consiglio caldamente di usare del nastro adesivo per bloccare la ghiera dello zoom… non sto scherzando).
In ogni caso, i softwares più all’avanguardia, grazie ai recenti sviluppi in fatto di riconoscimento delle immagini, vi permettono di ovviare ai problemi di allineamento causati, ad esempio, dal mancato utilizzo di un treppiedi o dallo spostamento accidentale della focale sull’obiettivo. Non molto tempo fa, con la versione CS3 di Photoshop, Adobe ha introdotto la funzione Auto-align proprio a questo scopo… davvero una manna dal cielo (per una panoramica, leggete qui).
Combinare più esposizioni
Osservate la foto n.3: interno di uno show-room in luce mista (le immagini sono scansioni di tre diapositive realizzate dal sottoscritto intorno al 2001). Alquanto ostico dal punto di vista esposimetrico. Era importante riprodurre in maniera fedele l’illuminaizone e i riflessi (specialmente prodotti dai muri bianchi), che sarebbero andati perduti se avessi aggiunto delle luci aggiuntive. Ho dunque deciso di utilizzare due esposizioni diverse a 2 e 1/3 stop di differenza. L’immagine 3A riproduce perfettamente le alte luci dei faretti sul soffitto, mentre la 3B l’illuminazione complessiva della stanza e i dettagli degli articoli esposti (ombre comprese). Ho “mixato” le due foto con una versione di Photoshop che non ricordo più quale sia… il risultato è l’immagine 3C. Un buon compromesso, come potete notare. (“l’ectoplasma” che appare nell’immagine 3B è la scia di un passaggio umano involontario… Stefania!).
Credo, anzi, sono certo che in futuro salteranno fuori procedure decisamente migliori per combinare le esposizioni allo scopo di aumentarne il range dinamico (nella seconda parte vedremo bene di cosa si tratta), comunque sia il principio base di tutto questo è molto semplice (anche se esistono vari “modi di agire” per metterlo in pratica): se disponete di due foto allineate, una più scura (sottoesposta) ed una più chiara (sovraesposta), potete utilizzare le parti migliori dell’una e dell’altra… tutto qui. Ovviamente, avendo a disposizione un numero maggiore di foto, potete combinare le aree meglio esposte di ciascuna.
Nella seconda parte vedremo quale diavoleria tecnologica si può sfruttare per ottenere il massimo rendimento dal bracketing dell’esposizione.
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